Marzia Tenti, aretina, allestisce vetrine e lavora a braccetto con fantasia e talento: “Ma non bastano, servono anche studio e aggiornamento. Se non sei al passo con i tempi, fai danni. E restare indietro è un attimo”. I corsi di formazione per Ascom, una professione coltivata con tenacia, la capacità di creare empatia:
“Fondamentalmente devo risolvere problemi. Ma io vivo di emozioni”

Marzia Tenti ha un ricciolo biondo per ogni lampo di creatività. Aretina e orgogliosa di esserlo, di lavoro allestisce vetrine, che per un negozio sono come la copertina di un giornale: devono catturare l’attenzione, trasmettere un messaggio, invitare a fare un giro all’interno. Serve talento che però, come nello sport e nella vita, da solo non basta. Occorre fantasia, da affinare ogni giorno con lo studio e l’esperienza. Ed è necessaria un’attitudine che fa selezione, perché quella o ce l’hai o non ce l’hai.
“Io mi sento una narratrice, racconto una storia che deve arrivare immediata e veloce. Mentre predispongo la vetrina, penso sempre a chi la guarderà. Poi è fondamentale l’ascolto: quando incontro un nuovo committente gli sottopongo una approfondita serie di domande sulla sua attività, sulle tipologie di vetrina del passato, sugli obiettivi che si è prefisso, sul’età della clientela. Da lì definisco la strategia e si parte. Mi aiutano gli studi di marketing e neuroscienza per gli stimoli di acquisto. Negli ultimi dieci anni questa ricerca continua mi ha dato una marcia in più ed è anche grazie a questo che tengo corsi di formazione in Ascom. Fondamentalmente devo risolvere problemi, anche se io vivo di emozioni”.
L’approdo alla professione di vetrinista ha seguito un percorso largo, nonostante nel dna ci fossero i geni giusti.
“Mia mamma ha lavorato in questo settore per quarant’anni e io, in pratica, ce l’avevo in vena. Il mio titolo di studio è tecnico di laboratorio di analisi chimiche e cliniche, il diploma mi è servito per avere le spalle coperte ma nel 1998 ho ceduto al richiamo di famiglia e ho iniziato. Mia madre mi ha lasciato un solo cliente, il resto me lo sono tirato su con la mia tenacia. Sono andata in giro per le vallate a offrire gratuitamente le prime consulenze, mi sono creata dei rapporti che ho conservato fino a oggi, come quello con l’erboristeria L’Alveare, e ho conosciuto tante aziende di livello. Con le Farmacie Comunali di Arezzo, dopo essere partita da un piccolo progetto, collaboro ancora ad ampio raggio”.
Mettersi a disposizione degli altri, interpretare le necessità di chi vende, intuire i gusti di chi compra, presuppone anche una costante attività di introspezione, indispensabile per sviluppare la capacità di comunicare in modo efficace.
“Ascolto, strategie adeguate, aggiornamento. Ho investito su me stessa sotto ogni aspetto per capire fino in fondo tutte le sfaccettature del mio lavoro e ogni singola realtà commerciale, comprese quelle più legate alla tradizione, a un’immagine rassicurante ma superata dai tempi. Lì serve empatia per convincere il cliente a dare una svolta. Purtroppo noi vetrinisti non abbiamo un albo professionale: ho visto arrendersi decine di colleghi perché sprovvisti di una formazione adeguata. Io me la sono costruita con il tempo, leggendo, viaggiando, rubando con gli occhi i segreti dei grandi brand. Se non sei sul pezzo, fai danni. E restare indietro è un attimo”.
Ma come si articola la giornata standard di una vetrinista? Dipende dai periodi, dalla lista di cose da fare, dagli incastri con la vita privata che caratterizzano qualsiasi professione e che, al giorno d’oggi, sono sempre più complicati da conciliare.
“Ci sono dei momenti dell’anno molto intensi: l’attività di allestimento si incrementa e la varietà di vetrine da gestire diventa molto ampia. In quei periodi svuoto quelle vecchie, ne preparo di nuove, una piccola pausa pranzo e via a pieno ritmo fino a sera. Devo saltare palestra, aperitivi, qualche cena fuori con le amiche o con mio marito. Sono sola, faccio affidamento esclusivamente sulle mie energie, questo lavoro richiede anche uno sforzo fisico non indifferente e ho bisogno di riposare. Nelle settimane più tranquille metto in ordine il laboratorio e il magazzino, mi dedico ai corsi di formazione, rimetto in sesto corpo e mente. Se ho mai pensato di mollare e dedicarmi ad altro? E’ successo quando ero agli inizi. Ma è durata poco, il cuore ha sempre prevalso. Sono fatta così, una volta rinunciai a un lavoro a Dubai per amore. Quella storia poi è finita male ma tornassi indietro, rifarei la stessa scelta”.
Arezzo, in tutto questo, gioca un ruolo fondamentale: “Adoro le realtà piccole e specialmente la mia città che mi ha dato tanto. All’inizio ero chiusa di carattere, il lavoro mi ha aiutato a essere me stessa. Pure i social sono stati preziosi, hanno definito la mia identità mettendomi in contatto con tante altre realtà italiane e straniere, dandoci modo di condividere esperienze diverse in posti diversi e con target diversi. Oggi mi sento realizzata, con un sogno nel cassetto che non svelo. E’ dentro di me, mi frulla in testa da tempo. E ai sogni non so dire di no”.