Mauro Valenti, storico patron di Arezzo Wave, ha messo a punto un progetto artistico innovativo, quasi rivoluzionario:
non solo concerti sul palco ma anche esibizioni live per le strade, le piazze e nei negozi, laboratori creativi, workshop per artisti, manager, tecnici del suono. Un maxi evento da ripetere negli anni per riportare la città al centro di un progetto culturale internazionale. “Sono un aretino di campagna e me ne vanto. Ho regalato emozioni ma la politica non mi aiuta. Eppure mi basterebbero pochi soldi per rovesciare il mondo”

Si chiama Sud Wave ed è la nuova, lucidissima follia di Mauro Valenti: una vetrina musicale per i nuovi talenti del sud Europa, un maxi evento con incontri, lezioni di esperti, veri e propri laboratori creativi, presentazioni, anteprime, ospiti di livello assoluto e ovviamente concerti. Se qualcuno pensava che il patron di Arezzo Wave, una volta passati i sessanta, si fosse instradato verso una placida vita da ex, si sbagliava di grosso. Circondato da centinaia di cd e decine di trofei vinti con il Piazza Grande, la squadra di calcio che ha fondato anni fa, Mauro Valenti è ancora in modalità on, animato dal sacro fuoco dell’iniziativa, dell’idea, della proposta. I contatti italiani e stranieri accumulati in carriera gli fanno vibrare e trillare lo smartphone in mille modi differenti, mentre smanetta tra i fogli di carta sparpagliati sopra la sua incasinatissima e vissuta scrivania.

Sud Wave cos’è? Un’utopia, un Arezzo Wave versione moderna, una sua rivincita personale: che cosa?

Sud Wave è il figlio di Arezzo Wave. Come tutti i bambini piccoli, non si sa come e quanto crescerà. Ha grandi potenzialità e grandi rischi, io spero che venga su nel modo giusto.

Come le è venuto in mente un progetto così?

In modo naturale direi. Con Arezzo Wave mi sono costruito una credibilità consolidata, un patrimonio da sfruttare. Faccio parte della federazione europea dei festival e vorrei riportare Arezzo al centro di un percorso musicale internazionale, com’era una volta.

Nostalgia?

Tanta. Sul nostro palco sono saliti Ben Harper, Skunk Anansie, Dave Matthews. Non li conosceva nessuno o quasi, la gente veniva ad Arezzo per scoprire, era una sensazione bellissima.

Può accadere di nuovo?

Per me sì. Io sono di Arezzo, sono legato a questi posti. Avevamo offerte da altre città ma Sud Wave voglio svilupparlo qui, dove abbiamo già portato il mondo. Si può replicare, con le dovute differenze.

Quali?

I filoni portanti di Sud Wave sono tre: workshop, pass festival, concerti live. Le officine musicali, gli incontri su temi fondamentali per l’organizzazione di eventi, con artisti e manager, lo rendono una novità assoluta per Arezzo e quasi per l’Italia. A Sud Wave si tratta la musica a 360 gradi.

Cioè?

Dibattiti sui diritti d’autore, sulla sicurezza ai concerti, consigli legali per la carriera artistica, info per le esibizioni all’estero e su come costruire una band. E poi il mondo del volontariato: restituire motivazioni a una generazione intossicata digitalmente è un obiettivo che mi piace molto. I gruppi che partecipano a Sud Wave possono incontrare manager di livello mondiale e avere un’occasione per il loro futuro.

E i concerti?

Al Circolo Artistico, al Karemaski, al Virginian, al Rock Heat. E in tutti i locali, gli spazi, gli ambienti che si mettono a disposizione: mi intriga la possibilità di rendere Arezzo una città piena di live in centro e in periferia.

In Italia non c’è nulla del genere?

Qualcosa sì. Milano Music Week, ma lì i contributi pubblici sono sostanziosi. Noi tentiamo di tenere botta con molto meno. E’ come se l’Arezzo affrontasse il Milan o l’Inter in una partita di calcio. Difatti stiamo cercando di accedere ai finanziamenti di Europa Creativa, il programma europeo che mette a disposizione più di un miliardo di euro per progetti rilevanti in ambito culturale.

Questo lo sarebbe?

Altro che. Quattro giorni di interscambio tra gruppi musicali di Italia, Portogallo, Spagna, Grecia, Francia, approfondimenti su tematiche che riguardano gli artisti ma anche i tecnici del suono, gli stage manager. E poi speed meeting, aperitivi rock, video room per rivedere tutti i filmati più interessanti della storia di Arezzo Wave. Io penso che un evento così sarebbe una bella cosa per la città.

Bellissima. Ma è sostenibile dal punto di vista economico?

Per adesso ci investo senza margini di guadagno. E’ un sasso nello stagno che mi auguro porti risultati più avanti. Mi dispiace che con il Comune non ci sia feedback. A volte mi sorge il sospetto che sulle cose che organizzo io, venga messo un diktat: nessun aiuto.

Ma perché?

Non lo so. Forse perché la politica mi vede come uno imprevedibile e questo dà fastidio, non mi possono tenere sotto controllo né ricattare. O forse, semplicemente, propongo cose poco interessanti. Ci può stare.

Beh, poco interessanti non è vero.

Sono sicuro che se imparassi a volare, qualcuno direbbe: che palle, adesso Valenti vola anche.

Di lei dicono pure che ha un carattere troppo spigoloso. Magari dovrebbe essere più diplomatico.

Forse è vero. Mi sento un po’ come Maradona: era bravissimo nel suo lavoro, ma senza un procuratore non avrebbe firmato i contratti che ha firmato. Ecco, io dovrei pensare solo a fare i gol e mandare un agente a trattare per me. Sapete qual è il mio difetto?

Quale?

Sono troppo aretino. Aretino di campagna addirittura. E questa cosa la pago. I grandi festival europei nati insieme ad Arezzo Wave, oggi fanno milioni di spettatori. Arezzo Wave non c’è più. Colpa mia.

O forse no.

Forse dovevo schierarmi: destra o sinistra. Sarebbe stato più semplice. Invece guardo ai fatti, non al colore delle amministrazioni. Il mio cruccio è che la città era pronta a un progetto musicale innovativo, la politica no. E non ha capito che Arezzo Wave aveva un indotto di milioni di persone, che portavano tanti soldi nel territorio.

Facciamo un po’ d’amarcord?

Non voglio passare per presuntuoso, ma uno dei ricordi più belli delle ultime generazioni è proprio Arezzo Wave. Nel 2000 si creò una coda di diciotto chilometri al casello: era gente che veniva a vedere Moby. Luis Sepulveda nel 2004 ha presentato Miriam Makeba. Abbiamo regalato emozioni, il mio piccolo contributo alla città penso di averlo dato.

Piccolo per modo di dire. Tanti però le rinfacciano i problemi di ordine pubblico che erano legati al campeggio.

Tutto poteva essere migliorato, ma è sempre mancata una politica di marketing urbano. Fatto sta che il festival non c’è più.

Allora perché Sud Wave? Per dimostrare che aveva ragione Mauro Valenti?

No. Perché io sono un imprenditore culturale. Per dirla alla Pasolini, cerco una disperata vitalità. Poi cerco anche di sentire il vento, annusare l’aria: oggi ci sono i presupposti per rimettere Arezzo al centro di un percorso. Voglio essere sincero: Sud Wave è una di quelle cose che non sai perché le fai ma che staresti male se non le facessi.

Cos’è che le dà la spinta ogni giorno?

La cosa che mi elettrizza di più è rompere gli schemi: in questo caso creare un network tra Arezzo, Lisbona, Barcellona, Atene e Parigi. Mi dà una carica pazzesca, mi sveglio alle 5 di mattina e comincio a mandare email ai miei collaboratori. Poi a loro dico la bugia che sono in treno e che approfitto del viaggio per contattarli: sapessero la verità, che all’alba sono già in piedi, mi prenderebbero per matto.

Il lavoro del talent scout però dev’essere figo. Non è quello a solleticarle l’orgoglio?

Anche. E’ gratificante, ma ancora più gratificante sarebbe giocare in undici. Invece ho qualche sponsor, qualche patrocinio, ma restiamo in inferiorità numerica rispetto ai nostri concorrenti. Amen.

E’ suggestiva l’idea dei live in contemporanea per le strade di Arezzo. Questa è veramente una nota di diversità dallo standard.

La comunità europea spinge molto sul concetto di “audience surprise” e all’estero il trend è già consolidato. Da noi un po’ meno, per questo voglio portare la musica a un pubblico che per età, mentalità, impedimenti vari, non ha avuto modo di sperimentare certi linguaggi culturali. Tu esci, vai al lavoro, a cena fuori, al cinema e lungo la strada, davanti al negozio, dentro un bar, trovi la band o il solista che suonano. Mi piace.

E’ ottimista?

Lo sono sempre. Lo sarei di più se avessi il sostegno giusto: mi basterebbero centomila euro e rovescerei il mondo. Ad Arezzo.