Giovanni Grazzini, presidente dell’Ordine dei commercialisti e degli esperti contabili di Arezzo, tratteggia i contorni di una professione cambiata con il tempo: “Con il contesto normativo di oggi, pieno di leggi e leggine, non ci sarebbe stato il boom del dopoguerra. Eppure siamo un punto di riferimento per aziende e cittadini, che in noi trovano deontologia e competenze. Il futuro post covid? La ripresa è possibile se verranno tenuti di conto due elementi fondamentali: qualità dei prodotti e sostenibilità della produzione”

Con una battuta, che poi ha un grande fondo di verità, dico sempre che noi commercialisti siamo impiegati in nero dell’agenzia delle entrate. La professione, rispetto al passato, è martoriata dalla burocrazia. Se i nostri nonni e i nostri padri avessero dovuto lavorare in un contesto normativo complesso come quello di oggi, si sarebbero messi le mani nei capelli e forse il boom del dopoguerra non ci sarebbe stato”.

Giovanni Grazzini, dal 2017 presidente dell’Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili di Arezzo, non usa tanti giri di parole. A ottobre ci saranno le elezioni per il rinnovo delle cariche e dovrà far posto al suo successore, dopo quattro anni funestati dal moltiplicarsi di leggi e leggine ma in cui, nonostante tutto, qualcosa di buono è stato seminato, grazie soprattutto ad un Consiglio di undici colleghi diventati come amici.

“Abbiamo cercato di riaffermare il ruolo professionale e sociale del nostro lavoro, con la massima attenzione per l’attività formativa e mettendo in piedi progetti educativi sulla legalità e sul senso civico, anche nelle scuole. Il covid non ci ha dato una mano, purtroppo, ma i riscontri sono positivi”.

Cosa è cambiato per professionisti come lei durante l’ultimo anno?

Il rapporto con cittadini e aziende si è fatto più stretto. Le informazioni da veicolare riguardo cassa integrazione, ristori, accesso al credito sono diventate sempre più vitali. Per questo dico che la nostra è un’attività sociale. E ricordo che l’Ordine è l’unico ente pubblico, in provincia di Arezzo, a mettere a disposizione l’Organismo di composizione della crisi da sovraindebitamento.

Di cosa si tratta?

Di un’istituzione, imparziale e indipendente, che gestisce le procedure di chi non riesce a sostenere i propri impegni economici e a rimborsare finanziamenti o debiti. I cittadini sanno che rivolgendosi all’Ordine dei commercialisti, si trovano davanti professionisti che seguono precise regole deontologiche. La formazione oggi è tutto: se non conosci il tuo lavoro a menadito, sei morto, fuori mercato.

C’è coscienza, tra i vostri interlocutori, di quanto sia diventato difficile il mestiere di questi tempi?

Direi di sì. Qualche lamentela emerge sempre, ma è fisiologica. Semmai, a differenza di quanto accaduto per avvocati e notai, a noi è mancata una esclusiva, una tutela “sindacale” di categoria più marcata. Tutto questo in un contesto fiscale e legislativo penalizzante.

In che senso?

Se mettiamo a paragone un’azienda che si occupa della stessa produzione in Italia e nel nord Europa, il confronto è impietoso. All’estero ci sono meno tasse, meno burocrazia, maggiori deducibilità. Partiamo fortemente svantaggiati.

Il suo è un punto di osservazione privilegiato. Cosa devono aspettarsi le aziende dopo il periodo di crisi per il coronavirus?

Sarà necessario un nuovo modo di fare impresa: più equilibrio, preparazione capillare, consapevolezza di come e dove andare a vendere, sapendo che il mercato interno offre opportunità limitate.

La prospettiva di una ripresa è fondata o si tratta di una semplice speranza?

E’ fondata, specie se verranno tenuti di conto due elementi fondamentali: qualità dei prodotti e sostenibilità della produzione. Aggiungerei ricerca e sviluppo e, non ultima, la tutela della proprietà intellettuale. Chi va a fare affari all’estero, deve garantirsi che marchi e brevetti non possano essere copiati. Poi c’è un altro volano da sfruttare al meglio.

Quale?

Il Recovery Plan, cioè la serie di grandi progetti approvati dall’Unione Europea per portare a termine le riforme strutturali ed economiche nel nostro Paese. E’ un’occasione gigantesca per intercettare finanziamenti comunitari e dare nuova linfa allo sviluppo. Servono prodotti innovativi, sensibilità per la tematica ambientale e capacità di penetrazione dei mercati esteri.

Giovanni Grazzini con i colleghi dello studio professionale di via Fonte Veneziana

Arezzo, in questo contesto, come sta?

Arezzo continua ad avere un grande pregio: l’ottima qualità della vita in una vocazione manifatturiera. E’ vero che anche qui stanno venendo a galla problemi sociali più marcati, ma è nulla in confronto a ciò che accade in altre aree. E poi ho constatato una crescita della nostra classe imprenditoriale.

Crescita di che tipo?

Anche culturale, riguardo l’approccio al lavoro e al fare impresa. La figura ironica del “Bussino”, che tutti conosciamo come perfetta caricatura dei nostri orafi, non è più così calzante. Oggi chi investe capitali è sopravvissuto al crack di Banca Etruria. E le difficoltà, le crisi, hanno prodotto una selezione naturale, al punto che le aziende sono mediamente più coscienziose e competitive di prima. Senza contare il settore agricolo ed enogastronomico, che noi ben conosciamo e che offre grandi margini di crescita.

Cosa le piace di più del suo lavoro?

L’ho detto, il fatto che abbia una forte utilità sociale: è un dettaglio che non mi stancherò mai di mettere in evidenza. Poi, come tutti, anch’io vado allo studio per togliermi qualche soddisfazione.

Per esempio?

Mi sono occupato, tra le altre cose, di fiscalità internazionale, che mi ha dato modo di alzare lo sguardo e allargare i punti di vista. Amo fare consulenze alle aziende che esportano all’estero, attività che tra l’altro Arezzo ha sempre avuto come inclinazione naturale. E poi le start up. Ne ho aiutate più di una a nascere e svilupparsi, anche con progetti innovativi legati al crowdfunding. Queste sono le cose che mi tengono su di morale e mi fanno dimenticare la burocrazia italiana. La routine mi distrugge. Ah, aggiungo un’altra cosa.

Prego.

Nel 2018 il vicepresidente Massimo Anselmi e Orgoglio Amaranto, il comitato di azionariato popolare, mi proposero l’incarico di consulente per la neonata Società Sportiva Arezzo, dopo il fallimento, l’esercizio provvisorio e la ripartenza. Sentii che la mia reputazione professionale, costruita negli anni, era apprezzata in città. E accettai. Fu una bella emozione e una gratificazione.

Lei è nato con l’aspirazione di fare il dottore commercialista? O il suo percorso se l’è costruito cammin facendo?

In realtà la mia ambizione, quand’ero ragazzo, era entrare nella redazione de Il Sole 24 Ore. Volevo diventare un giornalista economico, mi piaceva scrivere e la mia professoressa del liceo mi incoraggiava con il cuore in mano. Poi, dopo un anno nell’Arma dei Carabinieri e dopo aver terminato gli studi universitari in economia e commercio, ho scelto diversamente. La mia passione vera è l’azienda e mi sarebbe piaciuto stare dalla parte di là della scrivania, piuttosto che di qua. Non a caso la mia tesi di laurea era in marketing internazionale.

Non è mai troppo tardi comunque.

Beh, ormai forse sì. A me l’azienda piace perché è come una persona che devi crescere, guidare, che rischia di ammalarsi e allora devi farla guarire. Ad ogni modo un’esperienza l’ho provata: due anni fa il tribunale mi ha nominato presidente del consiglio d’amministrazione di Supermaglia, una Srl in crisi con circa ottanta dipendenti che volevano assumerne la guida tramite una cooperativa. Fu una parentesi che non si concluse felicemente, purtroppo, ma ne conservo un bel ricordo. Dagli ex dipendenti ho avuto anche delle manifestazioni di gratitudine: pagammo Tfr e stipendi fino all’ultimo euro.

Prima mi ha detto che il lavoro, rispetto al passato, è cambiato e non in meglio. Come ricorda i suoi inizi?

Ricordo che prediligevo la scrittura piuttosto che i numeri. E’ uno dei motivi per cui ho sempre seguito i risvolti sindacali della professione. Sono stato presidente dei giovani commercialisti e il confronto con i colleghi, oggi come ieri, è fondamentale. Non tutto si trova sui libri, servono esperienza sul campo e buoni maestri.

Lei chi ha avuto?

Giuseppe Marmorini, uno dei big ad Arezzo. Ho iniziato da lui, ho imparato, sono cresciuto negli anni.

Poi?

Ho seguito il corso naturale delle cose. Con la collega Maria Cristina Biondini lavoriamo gomito a gomito dal 1995 e oggi insieme a noi collaborano altre otto persone, compresi giovani colleghi. Poche settimane fa abbiamo trasferito lo studio da via Ristoro d’Arezzo a via Fonte Veneziana, vicino al tribunale. E’ stato l’ultimo passo di una crescita che ha riguardato sia noi che i nostri clienti.

In cosa è specializzato il vostro studio?

In una realtà come Arezzo devi saper fare quasi tutto, dalle consulenze alle buste paga. Le specializzazioni sono interne sui singoli, nostre individuali: al cliente offriamo un servizio a 360 gradi.

Con tutto il lavoro che ha, riesce a godersi qualche svago?

Innanzitutto mi godo le mie figlie. Francesca ha 21 anni e studia biologia, Federica ne ha 17 e vuole diventare una chef. Poi coltivo i miei hobby: ho una moto Bmw 1200 GS, da qualche anno ho scoperto la mountain bike con cui mi lancio giù da Poti o Lignano e ogni tanto riesco a fare immersioni subacquee con il Club Calypso. Più di rado mi concedo un ritorno al mio primo amore, lo sci, e qualche viaggio. Lo sport lo declino in giro, all’aria aperta: che sia in un singletrack, a 40 metri di profondità in acqua o a 3.800 metri di altitudine sulle piste, mi ci vuol sempre quel pizzico di adrenalina.

Il presidente dell’Ordine dei Dottori Commercialisti ha un sogno nel cassetto?

Vi farò sorridere ma a me piacerebbe entrare a far parte della Magistratura della Giostra del Saracino. E’ un mondo che mi ha sempre affascinato e che amo. Non so se sarà possibile, ma ci spero.

“Ho constatato una crescita della classe imprenditoriale aretina. Le aziende sono più coscienziose e competitive di prima”

Il consiglio dell’Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili di Arezzo