Lezioni sospese, didattica a distanza tra mille difficoltà, il 6 politico che diventa giorno dopo giorno qualcosa più di un’ipotesi. Per studenti e insegnanti è un periodo pieno di punti interrogativi, per quelli dell’ultimo anno di scuole secondarie ancora di più. A Claudio Santori, per un trentennio professore di lettere classiche, e poi preside d’istituto, abbiamo chiesto lumi su come gestire l’incertezza. Lui, che ha formato generazioni di ragazzi, ci ha risposto citando Seneca: “un timoniere di valore continua a navigare anche con la vela a brandelli”

I professori non chiedevano mai se eravamo felici” cantava Luca Carboni, mettendo in musica una cicatrice aperta da sempre. Insegnanti troppo innamorati del loro sapere. E di fronte a loro studenti troppo distratti da un presente in rapida evoluzione. Una carenza di empatia che ha segnato percorsi scolastici, compiti in classe, esami, vite. Poi ci sono le eccezioni: ragazzi che vogliono comprendere, capire e docenti che accorciano la distanza generazionale, culturale, umana, che non sono innamorati soltanto del sapere ma della professione, che sanno trasmettere un sentimento, che li guardi, li ascolti e qualcosa torna indietro. Non subito magari, perché a 18 anni il presente pulsa troppo forte nelle vene e soverchia tutto il resto. Però dopo sì, quando ti volti, rifletti, elabori e metti a fuoco.

Claudio Santori era teatrale, passionale, riempiva l’aula con le sue braccia lunghe, la gestualità incalzante e la voce scolpita. Classe ’44, ha insegnato italiano e latino a Castiglion Fiorentino, a Montevarchi, a Cortona, poi per quasi un ventennio latino e greco al liceo classico “Francesco Petrarca” di Arezzo. Nel 1984, insieme al sindaco Aldo Ducci e al provveditore Luciana Gasbarre, è stato uno dei fondatori del liceo musicale, dove ha tenuto la cattedra di storia ed estetica della musica fino al 1991. Ha formato generazioni di ragazzi, costruito coscienze critiche, guidato centinaia di studenti verso la maturità. In tutti i sensi.

Professore, l’anno scolastico è mutilato. Stavolta altro che esame… Che effetto le fa?

Brutto. E’ un trauma, un evento che non si verificava dal 1944. C’era la guerra allora, c’è la guerra anche oggi.

Fosse capitata a lei una disavventura del genere, cosa avrebbe detto agli studenti?

Che un pc non è come un’aula ma va bene lo stesso. Che a fare la differenza è sempre la voglia d’imparare. Che con l’impegno si superano tutti i problemi.

Le avrebbero creduto?

Lo spero. C’è un testo intramontabile che sto rileggendo in questi giorni di quarantena e che avrei consigliato ai maturandi.

Qual è?

“Lettere a Lucilio” di Seneca. Chi non ce l’ha, se lo compri: costa meno di una pizza e di una coca cola. Seneca a un certo punto scrive: “un timoniere di valore continua a navigare anche con la vela a brandelli”. Vale per tutti.

Alunni e insegnanti sono confinati a casa. A lei che dentro la scuola c’è stato una vita, quale sensazione le suscita: stupore, rabbia, paura, tristezza? 

Direi un mix di queste cose. L’esame alla fine delle superiori è uno spartiacque della vita, un bivio decisivo. La dicitura ufficiale è esame di stato, ma noi continuiamo a chiamarlo esame di maturità perché non si tratta solo di un diploma. Si cambia status, Pascoli direbbe che si esce dal nido.

Ma è ancora attuale questa lettura delle cose? Oppure oggi va diversamente?

E’ attualissima. Superare l’esame di stato significa libertà, assunzione di responsabilità. Niente più colloqui con i professori, niente più pagelle. Si va negli atenei, si va a lavorare. E’ una rivoluzione.

Prof, la sento parlare con la stessa veemenza di una volta. Non è cambiato neanche un po’?

Sono in pensione e sono segregato a casa per colpa del virus. La differenza rispetto a prima è tutta qui. Per il resto la penso come sempre: la cultura ti aiuta a discernere tra il bene e il male.

Il bene oggi qual è?

In questo periodo specifico, il bene è il senso civico. Dobbiamo restare a casa. Qualcuno ancora non si è accorto che l’esame di maturità lo sta facendo la natura a ciascuno di noi.

E il male?

Sottovalutare i problemi del mondo, soprattutto quelli legati al clima. E illudersi che con la cultura non si mangia. Mai concetto fu più sbagliato.

In questi giorni di quarantena, come passa il tempo?

Fammi dire che sono in crisi. D’abitudine frequento decine di circoli e associazioni, che adesso hanno tutti sospeso le loro attività. Per me è una condizione insolita, di sofferenza.

Almeno si riposa un po’. Prima faceva troppe cose…

Insegno all’università della terza età, sono stato socio fondatore dell’associazione degli scrittori aretini “Tagete” e della Società Storica Aretina nonché fondatore e primo presidente della Filarmonica Guido Monaco. Sono anche presidente della Brigata Aretina Amici dei Monumenti. Aristotele sosteneva che l’uomo è un animale sociale, è quello che ho sempre spiegato ai miei allievi.

E quindi a casa che fa?

Leggo, strimpello il pianoforte, ascolto musica, un po’ di tempo lo dedico alle lezioni via social per gli anziani dei miei corsi universitari.

Cosa ascolta?

Ho quattromila vinili, la scelta è molto ampia. Il mio brano preferito però è il finale della nona sinfonia di Beethoven. Inno alla gioia, scelto come inno d’Europa. In questo momento ha un grande valore simbolico.

Consigli per la lettura?

L’intro del Decamerone di Boccaccio, il “de rerum natura” di Lucrezio, poi Tucidide, il prologo dell’Iliade del Monti. Devo citare Seneca un’altra volta.

Citi pure.

“La vita è breve, l’arte è lunga”. Il tempo va speso bene.

A proposito, lei della didattica online che ne pensa?

Una risorsa straordinaria, da tenere in considerazione anche a emergenza finita. Esorto i miei ex colleghi a darci dentro e gli studenti ad approfittare di questa opportunità. Sai che io sono stato un precursore?

Le cassette audio?

Quelle. Negli anni ’70 e ’80 le distribuivo alle mie classi, dentro c’erano le lezioni di latino e greco da ascoltare e studiare. Un metodo molto redditizio se gestito con intelligenza.

Le mancano gli esami di maturità?

Dal punto di vista didattico, ormai non è più un esame: percentuale di promossi del cento per cento o giù di lì. Non mi piace. Quando lo feci io da ragazzo, nel ’62, ci spulciavano su nove discipline, scritte e orali. C’era il quaranta per cento di bocciati.

Un’esagerazione anche quella.

Può darsi. Servirebbe una via di mezzo. In ogni caso, tornando alla domanda, la maturità l’ho vissuta talmente tante volte da studente, da professore e poi da preside, che sto bene così.

Quest’anno potrebbe scapparci anche il 6 politico per tutti. Il suo cuore sobbalza?

Per me è un pericolo da sventare ed eventualmente dovrà essere l’extrema ratio, anche nel caso in cui gli studenti non dovessero tornare nelle aule prima della fine. Per gli insegnanti mettere a punto delle valutazioni online è molto difficile ma non impossibile.

Oggi come definirebbe il rapporto che aveva con gli studenti?

Il vero insegnante dovrebbe prima di tutto insegnare ai suoi alunni a stare al mondo, quale che sia la sua materia.

La fa facile lei.

Nei miei venticinque anni di carriera come docente, e nei venti come preside, ho dedicato ogni cura a combattere tre mostri: l’ignoranza, il fanatismo e la superstizione. Ho fatto del “timeo hominem unius libri” la mia bandiera. Chi ha un solo libro, fatalmente sarà portato a farlo ingoiare agli altri, con le buone o con le cattive.

E qui torniamo al concetto di cultura.

La mia frase preferita era: “Hanno valore solo le cose che non si possono comprare”. Un oggetto prezioso, se hai i soldi, te lo compri: la conoscenza no, perché è a disposizione di tutti ma non è in vendita, per cui te la devi sudare.

Si ispirava a qualcuno quando insegnava?

Diciamo che un modello era Tito Livio, il grande storico romano. A lui non interessava tanto fornire dati minuziosi e precisi, quanto piuttosto trasmettere emozioni, generare entusiasmi che rimanessero nel tempo e condizionassero l’agire. Ecco, io non pretendevo che i miei studenti sapessero tutto sull’aoristo primo, secondo e terzo o sul periodo ipotetico, ma che penetrassero il senso profondo di un verso di Lucrezio, di una frase di Demostene, di una scena di Sofocle e ne ricavassero un’emozione.

Questione di empatia allora.

L’empatia nasce spontaneamente dal contatto quotidiano e dall’esempio. Il vero professore deve catturare l’attenzione, ma senza essere simpatico di maniera o per forza.  Deve comunque rimanere professore e non giocare a fare l’amico: una raccomandazione che non è mia, ma di Platone.

Aneddoti?

Io sono sempre stato un tipo tranquillo. Ogni tanto però facevo il pazzo: al classico una volta rovesciai la cattedra per terra, c’era troppo casino. Ottenni il silenzio stupefatto degli studenti. La quinta G dello scientifico la feci stare una mattinata intera in piedi, senza sedie e senza banchi, per punizione. Agli esami molti di quei ragazzi presero il massimo dei voti. Da preside, invece, non riuscivo a gestire un collegio docenti infuocato: dovetti salire sopra il tavolo e sgolarmi con delle urla belluine. Tornò la calma.

Prof, domani come sarà?

Quando finalmente le aule torneranno a riempirsi, sono convinto che gli insegnanti riprenderanno il lavoro con un big bang di entusiasmo e di energia, perché questa esperienza non potrà non averli segnati nel profondo. Cito Ungaretti per chiudere: nella scuola, e anche nella società, “ritornerà scintillamento nuovo”.

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#ANDRATUTTOBENE

L’emergenza coronavirus ha costretto anche gli alunni più piccoli, quelli degli asili e delle scuole primarie, a sospendere le lezioni e restare a casa. Un’esperienza traumatica, vissuta con gli stati d’animo più disparati, ma che ha stimolato la loro fantasia, come al solito molto fervida. Qua potete vedere tre dei quasi 500 disegni che sono stati inviati al Comune di Arezzo e pubblicati sulla pagina Facebook dell’ente. Tutti, rigorosamente, con l’hashtag #andràtuttobene