Giacomo Burroni produce monili in argento per il pubblico maschile, una nicchia di mercato che è tornata prepotentemente di moda. “Arezzo mi trasmette vibrazioni e ispirazioni. È il mio posto del cuore per il lavoro e per la vita”

Dna, radici e passione. Questi sono tre degli elementi che caratterizzano l’attività di Giacomo Burroni, produzione di gioielli in argento maschili, una nicchia che è tornata prepotentemente di moda. Nel 2015 ha aperto la partita IVA con il codice ATECO per gioielli e orologi e nel 2016, dopo l’attesa della licenza, è arrivata la sua prima collezione, dove il gusto è dettato dall’intuizione ma pure dal godimento personale, perché Giacomo, classe ’84, non progetta niente che non vorrebbe indossare lui stesso.
“Il mercato aretino è quasi esclusivamente rivolto al femminile e, guardandomi intorno, ho sempre cercato qualcosa di artigianale da indossare, così quando ho iniziato a realizzare i primi gioielli li ho fatti vedere in giro, nel settore, e le reazioni mi hanno spinto ad andare avanti”.
L’ufficio che ha scelto è molto luminoso, dalle finestre si vedono le colline e le montagne fuori Arezzo, un modo per trovare l’ispirazione: “Ho deciso di aprire una commerciale facendomi realizzare le collezioni da alcuni laboratori locali che lavorano in esclusiva per me e in questo modo ho evitato tutta una serie di spese che la produzione diretta comporta”.
Giacomo è figlio di orafo, ma chi pensa che questo abbia rappresentato un vantaggio si sbaglia di grosso, perché i primi tempi sono stati caratterizzati da porte sbattute in faccia e da continui viaggi in tutta Italia per piazzare i propri gioielli, uno dei periodi più difficili ma anche formativi per Giacomo, così come quando aveva quattordici anni: “Mio padre mi regalò la vespa e io ero pronto per saltarci sopra e partire per le vacanze, ma lui mi disse che la mattina sarei dovuto andare in fabbrica e il pomeriggio sarei stato libero. Dal banco alla finitura, dalla galvanica alla fusione al forno, ho conosciuto materialmente ogni fase della lavorazione e della produzione e lì è scattato qualcosa, una passione forte per tutto ciò che è artigianale: grazie babbo!”.
Gli studi di ragioneria, poi un corso di design nel ramo del gioiello a Firenze e un master in marketing allo IED di Roma hanno affinato le competenze di Giacomo che, appena ha potuto, ha deciso di mettersi in proprio: “In me convivono varie anime, quella commerciale, quella estrosa, quella razionale ma anche quella istintiva. Le cose più importanti le ho fatte di pancia, come quella di aprire la mia azienda”.
Le sue produzioni affondano nel passato di Arezzo dove, nell’800 a.C., gli etruschi, i primi orafi, producevano i propri monili, dove la nostra città era una delle lucumonie più importanti: “Quando ero piccolo l’anfiteatro romano mi sembrava il Colosseo e la storia mi ha sempre appassionato, portandomi a leggere e approfondire. Io sono uno che vive profondamente le passioni, i miei amici sono persone vere e autentiche, un’autenticità che ricerco in tutte le cose della vita, nel lavoro in particolare. Quando creo penso alle mie radici, alla loro modernità, e mi rendo conto spesso che queste sono la nostra forza, altrimenti si rischia di creare gioielli banali. Io, per esempio, interpreto la granulazione e la filigrana che erano tecniche di produzione etrusca”.
Dai bracciali da schiava – anche se forse sarebbe meglio dire da schiavo –, rigidi, che sono una costante del campionario, alla collezione Indomitus, con teste di leone, lupo e ariete, con zirconi, filigrana, perle, pietre e forse anche oro. Perché come dice il nostro imprenditore “è importante contaminare, ti tiene in continua evoluzione. Infine l’invenzione: il nodino, una cosa semplice che arricchisce e rende il gioiello più bello e brillante, tanto da essere diventato sul mercato il nodino di Giacomo Burroni.

Quello che realizzo mi rappresenta come persona con i miei interessi, le mie radici e la mia città

L’imprenditore aretino segue ogni fase della lavorazione di persona, dalla progettazione ai microfusi, dai semilavorati alle dimensioni, in un rapporto con i laboratori di fiducia che è cresciuto nel tempo, lì dove la vena creativa diventa realtà e alla fine esce proprio il gioiello che Giacomo aveva in mente, grazie a un rapporto ultra quinquennale che ha affinato i meccanismi di una collaborazione simbiotica: “È sempre una grande emozione quando esce il gioiello finito, ma è solo una tappa del percorso. Quando sono in fiera preparo le vetrine in completa solitudine, è come il giorno prima di una gara, quando un atleta si prepara a dare il massimo: espongo le mie collezioni e poi mi rimetto al giudizio del pubblico: ci sarà a chi piacerà a chi non piacerà, chi mi chiede informazioni, chi fa complimenti e chi, addirittura, ordina subito”.
Un lavoro come questo porta via tanto tempo e tante energie, eppure Giacomo gestisce lo stress grazie alla sua città, alle sue giuste amicizie ma anche a una passione che, come quella per i gioielli artigianali, è nata da piccolo: “L’amore per i cavalli l’ho ereditato da mio padre. Partiamo la mattina, pranziamo nel bosco e io adoro sia stare con questi animali che in mezzo alla natura. Anche qui l’artigianato la fa da padrone nei finimenti della sella e delle briglie. Poi adoro lo stile cowboy. La mia cavalla si chiama Lady, siamo insieme da undici anni, è il mio salvavita, senza contare che siamo proprio fortunati a vivere in una regione come la Toscana, con i suoi spazi e la sua natura”.
La fiamma che brucia dentro, il lavoro fatto in un certo modo, la cura del dettaglio, il bello come mezzo più che come fine. C’è un mondo dentro Giacomo che riesce a portare in ogni cosa che fa.
“Il complimento più bello? Quando operatori storici del settore mi hanno detto: Tu riesci a vedere nel gioiello maschile ciò che noi non vediamo, altrimenti lo avremmo già fatto. Lì ho capito che porto nella produzione una parte di me, che ciò che realizzo mi rappresenta come persona, insieme con i miei interessi, le mie passioni, le mie radici e la mia città”.
Il settore del fashion viaggia veloce, a volte con poca memoria, come gli orecchini da uomo tanto di moda negli anni Novanta e tornati alla ribalta. Uno fa bella mostra di sé sul lobo sinistro di Giacomo, un ragazzo che vive a pieno Arezzo: “Da casa Vasari alla Fortezza, da piazza della Badia a piazza Grande, al palazzo di Fraternita, adoro passeggiare per le strade del centro storico, preferisco andare a vedere questi posti che fare un aperitivo perché mi restituiscono sempre qualcosa, una sensazione, una suggestione. Questo è il mio dna, queste sono le mie radici. Per lavoro ho avuto l’occasione di trasferirmi a Milano, ma alla fine ho scelto Arezzo. Mi trasmette vibrazioni, ispirazioni e ogni volta che mi ci immergo, mi ricarico. Il mio posto del cuore? Il Museo Archeologico Nazionale Gaio Cilnio Mecenate. Fa capire chi siamo stati e contemporaneamente chi potremmo essere, ma con una sola costante… non mollare mai!”.