Lungo le sponde del grande fiume toscano una delle “terre nuove”
custodisce gelosamente e valorizza il suo prestigioso passato fatto di storie uniche, uomini illustri e capolavori d’arte

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San Giovanni Valdarno, l’antica Castel San Giovanni, è uno dei centri di riferimento del Valdarno aretino. Terra di confine tra Arezzo e Firenze, collocata in un’area pianeggiante sulla sponda sinistra del fiume Arno, oggi è una città dinamica che guarda al futuro, anche se il suo impianto urbanistico medievale è ancora ben leggibile nel centro storico, dove i palazzi e le chiese trasudano pagine di storia in ogni angolo. Quella sangiovannese è una terra che ha dato i natali a grandi personaggi e ancora oggi custodisce un patrimonio artistico di notevole valore da scoprire e ammirare. Provare per credere.

Le “terre nuove” sentinelle fiorentine nel Valdarno aretino

Le origini di San Giovanni risalgono alla fine del Duecento, periodo in cui, per fare fronte alle mire espansionistiche di Arezzo e per frenare gli scomodi feudatari locali, Firenze decise di consolidare la sua presenza nel Valdarno Superiore attraverso un complesso sistema di avamposti. I centri abitati già esistenti, come Montevarchi, furono dotati di circuiti murari, mentre altrove vennero fondate delle vere e proprie città fortificate. Nacquero così le “terre nuove”, dalla tipica pianta quadrangolare, con una grande piazza centrale dalla quale partivano due assi viari principali, perpendicolari tra loro, collegati a quattro porte.
Le odierne San Giovanni Valdarno e Castelfranco di Sopra sorsero a partire dal 1296, Terranuova Bracciolini dal 1299. I coloni venivano incentivati a trasferirsi nei tre centri attraverso importanti sgravi fiscali.
I lavori per il completamento dei borghi andarono avanti lentamente, esponendo i luoghi agli attacchi nemici. Tra il 1356 e il 1363 le mura di San Giovanni furono potenziate e dotate di ventiquattro torri difensive intervallate da Porta Aretina, Porta Fiorentina, Porta San Lorenzo e Porta Sant’Andrea. Con la definitiva sottomissione di Arezzo a Firenze del 1384 le acque si calmarono, ma nel Quattrocento si acuirono gli scontri tra la Repubblica Fiorentina e i Visconti di Milano, che puntavano a impadronirsi della Toscana. San Giovanni continuò quindi a svolgere la sua funzione militare.
Il Cinquecento e il Seicento furono secoli senza particolari sussulti, se non per le piene dell’Arno che fecero danni a più riprese. Dal 1737, con il passaggio delle consegne tra Medici e Lorena, la situazione migliorò grazie anche alle riforme che favorirono lo sviluppo dell’agricoltura attraverso opere di canalizzazione e bonifica.
Nel 1848, agli albori dello sviluppo economico che interesserà San Giovanni Valdarno tra la seconda metà dell’Ottocento e gli inizi del secolo seguente, il comune entrò a far parte della Provincia di Arezzo. Ci rimase sia con l’annessione del Granducato al Regno d’Italia, sia con la nascita della Repubblica Italiana, nonostante i tentativi dei sangiovannesi di legarsi amministrativamente alla “madre” Firenze.

Masaccio il più grande di tanti personaggi illustri

San Giovanni vanta una lunga serie di figli famosi, soprattutto in ambito artistico. In Corso Italia, l’antica Via Maestra, si trova la casa dove visse il pittore Tommaso di Ser Giovanni, da tutti conosciuto come Masaccio, che negli anni Venti del Quattrocento fu uno dei più ispirati iniziatori del Rinascimento fiorentino. Pittore era anche il fratello minore, Giovanni di Ser Giovanni, detto lo Scheggia, stimato come decoratore di cassoni nuziali e ambienti domestici.
Altri due autori sangiovannesi coevi sono Masolino da Panicale, in passato ritenuto il primo maestro di Masaccio, e Mariotto di Cristofano, che del genio rinascimentale era cognato. Giovanni Mannozzi, detto Giovanni da San Giovanni, fu invece uno dei più affermati artisti toscani della prima metà del Seicento, mentre l’architetto e pittore Niccolò Nasoni portò nel XVIII secolo il nome della sua terra natale a Malta e in Portogallo.
Tra gli autori contemporanei vanno ricordati il pittore, incisore e saggista Marco Fidolini, conosciuto dagli anni Settanta per i soggetti metropolitano-industriali, e Mauro Capitani, considerato uno dei più bravi coloristi italiani viventi. Una pregevole opera del 2008 di quest’ultimo, dedicata alla sua terra natale, si ammira alla fine di un tratto superstite delle mura medievali, in via Cesare Battisti, e raffigura “La fondazione di San Giovanni Valdarno”.

Palazzo d’Arnolfo. Nel cuore di San Giovanni un edificio che racconta secoli di storia

Il centralissimo Palazzo Pretorio di piazza Cavour, noto anche come Palazzo d’Arnolfo, è il simbolo della cittadina. Attribuito assieme alla pianta delle “terre nuove” al grande architetto fiorentino Arnolfo di Cambio, l’edificio fu iniziato tra la fine del XIII secolo e i primi anni del secolo seguente. Fu sede del podestà fino ai primi del Quattrocento, quindi venne trasformato e ampliato per accogliere anche i vicari fiorentini che governavano e amministravano la giustizia nel Valdarno Superiore. Oggi ospita il Museo delle Terre Nuove, che attraverso percorsi interattivi spiega le vicende che tra XIII e XIV secolo portarono alla nascita dei nuovi centri abitati valdarnesi.
Nell’atrio del palazzo si trova il “marzocco”, ovvero il leone seduto che regge con la zampa lo scudo gigliato, simbolo del dominio fiorentino sulla zona. Al piano terra e al primo piano si ammirano gli eleganti loggiati, mentre dal centro della parete posteriore spicca una possente torre merlata alla guelfa. Nella facciata sono presenti oltre duecentocinquanta blasoni che ricordano i vicari fiorentini che si successero tra il 1410 e 1769. Una passeggiata per le vie sangiovannesi ci porta a scoprire altri preziosi palazzi di origine medievale, trasformati nei secoli, come i trecenteschi Palazzo Mannozzi-Gariberti, che fu sede anche di un banco di prestito retto da ebrei, e Palazzo Salviati, detto “Palazzaccio”, rimaneggiato in stile tardorinascimentale. Settecenteschi sono Palazzo Feroni, Palazzo Corboli e Palazzo Panciatichi.

Una sontuosa basilica per ricordare il miracolo di Monna Tancia

Santa Maria delle Grazie, in piazza Masaccio, è il principale luogo di culto di San Giovanni. Nel 1478, durante una terribile pestilenza, l’anziana Monna Tancia stava pregando disperata di fronte a un’immagine mariana trecentesca affrescata su Porta San Lorenzo. La donna aveva un nipote di tre mesi, rimasto orfano dei genitori morti di peste, che non sapeva come sfamare. Secondo la tradizione, l’intercessione della Madonna fece uscire il latte dalle mammelle della nonna, che poté saziare il piccolo. Dopo l’evento miracoloso l’immagine dipinta venne protetta con un tabernacolo ligneo, ma il numero crescenti di devoti – si dice che accorse anche Lorenzo il Magnifico per vederla da vicino – portò alla costruzione di una cappella nel 1484 e di una grande chiesa aperta al culto nel 1523, sempre sul luogo del miracolo.
I lavori di ampliamento e arricchimento proseguirono per tutto il Cinquecento, ma nel 1596 un incendio distrusse l’altare maggiore, ricostruito da Bernardo Buontalenti, Matteo Nigetti e Giulio Parigi. Nel corso del Seicento arrivarono altari laterali e nuove opere, mentre nel 1704 venne inaugurata la nuova facciata, che tra il 1840 e il 1856 fu rifatta in stile neoclassico, con l’aggiunta del timpano e delle statue dei santi Agostino, Giovanni Battista, Lorenzo e Francesco. All’interno della basilica si accede grazie a una doppia scalinata scenografica, ma prima di salire si può ammirare la “Madonna che consegna la cintola a San Tommaso, con San Giovanni Battista e Lorenzo”, una terracotta policroma invetriata di Giovanni della Robbia del 1510-1513, che introduce alla cappella del miracolo. L’edificio a tre navate è ricco di opere d’arte di varie epoche. L’immagine miracolosa si trova nell’altare maggiore, assieme agli affreschi del 1510 di Luberto da Montevarchi con le “Storie del Miracolo di Monna Tancia”.

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Le chiese sangiovannesi. Secoli di arte e fede nel centro storico e nei dintorni

San Giovanni Valdarno vanta un importante patrimonio di edilizia sacra. La pieve di San Giovanni è la chiesa battesimale e sorge dirimpettaia a Palazzo d’Arnolfo, in piazza Cavour. Fu costruita nel 1312, ma l’aspetto attuale è il frutto di vari rimaneggiamenti. Esternamente ha una facciata con portico a tre arcate. Il cardinale Giovanni de’ Medici, eletto al soglio pontificio con il nome di Leone X, ne fu rettore dal 1495 al 1502.
La chiesa di San Lorenzo di piazza Masaccio si trova al posto di chiesetta romanica già esistente prima della nascita della cittadina. Agli inizi del Trecento, dopo essere stata inglobata dalle nuove mura, il piccolo edificio divenne la navata laterale destra di una chiesa più grande in stile gotico. Tra Seicento e Ottocento fu pesantemente rimaneggiata, ma il ripristino stilistico del 1862 le donò l’aspetto attuale. Nei primi anni del Novecento riemersero diversi affreschi deteriorati risalenti alla fine del Trecento e alla prima metà del Quattrocento. Nell’altare maggiore campeggia il polittico di Giovanni del Biondo con “L’incoronazione della Vergine tra angeli e santi”, risalente al 1374 circa, con una “Crocifissione” nella sua cuspide.
La chiesa della Santissima Annunziata, in via Giovanni da San Giovanni, apparteneva a un ospedale medievale affidato nel 1528 alle suore agostiniane, che vi fondarono un monastero. Nella seconda metà del Seicento la chiesa conventuale fu ristrutturata in stile barocco. Nella stessa strada sorgeva anche la sede della compagnia della Santissima Annunziata con l’oratorio della Nunziatina del 1516. Nel 2019 la chiesetta dismessa venne acquistata da un privato, che dopo averla recuperata l’ha trasformata in polo culturale per la comunità sangiovannese.
In via Alberti si trovano il settecentesco oratorio delle Anime del Purgatorio, voluto dalla confraternita della Morte, e la chiesa di Santa Lucia, di origine medievale ma più volte restaurata, che assunse l’aspetto odierno nel Seicento.
Sulla riva destra dell’Arno sorgono le frazioni di La Badiola, con l’’antichissima chiesa di Santa Maria in Mamma, e Renacci, con la sei-settecentesca chiesa di San Silvestro. Nella frazione di Montecarlo, sulla riva sinistra del fiume, si trova invece il convento di San Francesco, che secondo la tradizione fu fondato a partire dal 1424 da San Bernardino da Siena sul terreno in collina messo a disposizione dalla famiglia Ricasoli. La chiesa conventuale custodiva al suo interno la celebre “Annunciazione” quattrocentesca di Beato Angelico.

Il Museo della Basilica. Uno scrigno di tesori nel segno di Beato Angelico e Giovanni da San Giovanni

Le sei sale del Museo della Basilica di Santa Maria delle Grazie, aperto al pubblico nel 1990 e rinnovato nel 2005, conservano dipinti, sculture, arredi sacri e paramenti liturgici dalla fine del XIV al XVIII secolo, provenienti in gran parte dalle chiese locali e dalle istituzioni ecclesiastiche soppresse del territorio. La collezione, nata nel 1864 e cresciuta nel tempo, accoglie opere di grande valore che così possono essere salvaguardate e valorizzate.
Giovanni del Biondo e Mariotto di Nardo, ancora legati al gotico trecentesco, Mariotto di Cristofano e Giovanni di Ser Giovanni detto lo Scheggia, protagonisti della pittura locale di metà Quattrocento, Domenico di Michelino e Jacopo del Sellaio, calati nel pieno rinascimento fiorentino, e il pierfrancescano Giovanni di Piamonte sono alcuni dei protagonisti presenti.
Un’intera sala è dedicata all’opera più importante del museo, la splendida “Annunciazione” di Beato Angelico, realizzata tra il 1432 e il 1440 dal grande maestro fiorentino. La tavola è un capolavoro indiscusso che combina la complessa simbologia medievale e il nuovo umanesimo rinascimentale.
Il Seicento è segnato principalmente dalle opere di Giovanni da San Giovanni, come la stupenda “Decollazione di San Giovanni Battista” del 1620 e lo “Sposalizio della Vergine”, affresco del 1621 staccato dalla rampa esterna della basilica.
Il sistema museale comprende anche Casa Masaccio, un centro sperimentale ed espositivo di arte contemporanea situato nell’abitazione dove il grande pittore rinascimentale visse la sua fanciullezza. La collezione permanente, avviata grazie allo storico Premio Masaccio, accoglie opere di artisti italiani del Novecento e ribadisce la vocazione di San Giovanni Valdarno ad aprirsi al futuro, tenendo bene a mente la lezione del suo importante passato.