Archeologa, artista, imprenditrice, amante dell’estetica in tutte le sue forme, Silvia Salvadori ha un talento fuori dal comune ed è l’unica in Italia capace di utilizzare le tecniche pittoriche antiche, quelle della scuola aretina del medioevo e del Rinascimento. La sua bottega d’arte toscana, in via Bicchieraia, è uno scrigno a disposizione di tutti. E le sue opere lasciano a bocca aperta anche il più profano dei visitatori

Via Bicchieraia, la strada degli artigiani e dei mestieri nel cuore del centro storico di Arezzo, dove estro e tradizioni si fondono, creando in questo scorcio di città un afflato speciale. La bottega d’arte toscana non poteva trovarsi altrove: Silvia Salvadori se l’è letteralmente inventata, ristrutturando gli ambienti e trasformandoli in un laboratorio creativo in cui la parola d’ordine è bellezza. Prima c’era stato un lungo e appassionato percorso di studi, di esperienze umane e professionali, con al centro l’amore per l’estetica in tutte le sue forme.

Archeologa, artista, imprenditrice, Silvia ha 43 anni, è originaria di Monte San Savino e lì, tra il verde della sua terra natale, è rimasta a vivere, a contatto con la natura e con gli animali. Un cavallo, cani, gatti, caprette le fanno compagnia nei momenti di svago (pochi anche se intensi) e in quelli di lavoro, quando si dedica alle opere d’arte.

Silvia ha un talento fuori dal comune, affinato sui libri e con l’esperienza. In Italia nessuno è come lei, capace di utilizzare le tecniche pittoriche antiche, quelle degli artisti toscani del medioevo e del Rinascimento, della scuola aretina che seppe creare ammirazione, consensi e proseliti.

“L’archeologo indaga, scava, recupera e così ho fatto io per trovare, o ritrovare, una lettura profonda delle opere. La mia stella polare è il Libro dell’Arte di Cennino Cennini, in cui sono spiegate tutte le tecniche dell’affresco e della pittura. Se non sai, non puoi fare. L’università è stata fondamentale per me”.

Prima l’istituto d’arte, poi la laurea in archeologia a Siena, quindi il master europeo in conservazione e gestione dei beni culturali, infine le esperienze all’estero. “Sono stata a lungo in Francia, dove ho curato mostre e collezioni, e mi porto dietro ricordi bellissimi di un ambiente in cui la meritocrazia è il valore supremo. Avrei potuto fermarmi al museo di Normandia, a Caen: mi avevano offerto un contratto ottimo ma io, nel mio cuore, ho sempre avuto nostalgia della Toscana, di Arezzo. E sono tornata per assecondare le mie aspirazioni. In Italia tante opere sono abbandonate nei magazzini dei musei. Oppure capita che all’interno delle chiese non sia possibile assicurare a una tela la stessa cura che si ha in altri ambienti. Poi ci sono i rischi legati a fenomeni naturali o al gesto sconsiderato di qualche folle. Senza contare che il tempo è un grande distruttore e il restauro, in certi casi, è troppo invasivo. Quindi diventa fondamentale la manutenzione o la sostituzione”.

E’ qui che entrano in gioco l’abilità di Silvia, la mano d’artista, il bagaglio di conoscenze. Le sue opere sono un omaggio alla tradizione, riscoperta con una padronanza dei tratti e dei colori che lascia a bocca aperta anche il più profano dei visitatori. Non solo, i personaggi e i paesaggi, le linee e le atmosfere del passato vengono mescolati a elementi più moderni, per una sperimentazione intrigante che cattura sguardo e anima.

“Il mio lavoro all’inizio è stato una grande sfida. Ci ho messo vent’anni per arrivare al livello di oggi e tutto quel che ho raccolto lo devo alla mia tenacia e alla mia inclinazione per l’arte aretina medievale, gotica e rinascimentale, che non ha nulla da invidiare a quella senese o fiorentina. E’ un percorso che avevo in testa fin da piccola, portato a termine grazie alla fede, laica e religiosa. Ho creduto in me stessa e l’arte sacra, con cui mi confronto da sempre, mi è stata di aiuto. Sbaglia chi pensa che il medioevo, come recitano i luoghi comuni, sia solo un periodo buio. C’era anche tanta modernità, tanta luce. Le vetrate del Marcillat in Duomo, qui ad Arezzo, ne sono una dimostrazione”.

Silvia racconta, spiega, illustra con trasporto sincero, ogni discorso è denso di dettagli e slanci di emozione. Come Gocce di Medioevo, la rubrica digitale che cura online, dedicata a chi vuole conoscere i segreti dell’arte e delle tecniche pittoriche del passato, dei significati delle tinte, delle gemme preziose che Silvia utilizza come richiamo all’oreficeria etrusca. Il legame dell’artista con Arezzo è solidissimo, testimoniato dalla Minerva realizzata con tempera e oro zecchino, pregiato omaggio alla città. Oppure dallo stemma araldico con la Chimera dipinto per Porta del Foro. Oppure ancora dal bozzetto per la lancia d’oro della Giostra del Saracino dedicata a Spinello Aretino. Ma di esempi ce ne sarebbero a decine.

“La mia bottega è un occhio sul passato, uno strumento per tenere desta la coscienza storica degli aretini. Mi piacerebbe che facesse ai visitatori lo stesso effetto che fa a me il Polittico di Lorenzetti alla Pieve: quello è un luogo mistico, mi trasmette vera energia”.

La bottega d’arte toscana è un piccolo, grande scrigno a disposizione di tutti. Ed è visitabile per osservare l’artista al lavoro. Chi non l’ha ancora fatto, colmi la lacuna: ne vale assolutamente la pena.