L’abilità artigianale è la chiave del successo di Mely’s, partita nel 1956 da un laboratorio in via Vittorio Veneto e arrivata a rifornire di capi pregiatissimi le più importanti maison della moda mondiale. Mani e filo sono il simbolo di una grande storia del territorio, passata dalla cambiale per comprare la prima macchina cucitrice, alla rocambolesca avventura parigina delle Galeries Lafayette, fino al nuovo stabilimento di Olmo dove Marco Sanarelli e la sua famiglia progettano il futuro di un’eccellenza aretina.

Varcata la soglia dello stabilimento, arriva il profumo antico della lana. E’ un caldo benvenuto, un esplicito biglietto da visita. Sollecita a frugare tra i ricordi, per chi ne ha familiarità. E pezzi di memoria di chi ha tirato su il palazzo sono lì, all’ingresso. La foto di Amelia Donati, la fondatrice, le targhe e i riconoscimenti di 64 anni di attività, i trofei della squadra di ciclismo sponsorizzata. Intorno, c’è un piccolo universo industrioso che – tra rocche di lane variopinte – studia, sperimenta, disegna, cuce, rifinisce: un moto senza tempo che tende alla perfezione, quella che i prestigiosi clienti a Mely’s richiedono. Maglieria di qualità assoluta, rinomata nel mondo: l’impresa si pone ai vertici del settore, realizzando capi per le principali maison  della moda.

“Il visibile crea la forma, il non visibile crea il valore”: il mantra aziendale coglie l’essenza di un lavoro nascosto quanto prezioso dietro le griffe del fashion globale, plasticamente reso da una fabbrica elegante che, però, dalla strada non si vede. Bisogna cercarla, la Mely’s, per trovarla. Ed è giusto così. Il suo valore “invisibile” è proprio dentro la sede, nelle decine e decine di mani esperte che con il filo creano capolavori d’artigianato. Che fanno la fortuna del Made in Italy. Che hanno respinto la crisi senza sotterfugi, senza scappare, senza compromessi. E con un’arma sola: il saper fare.

Marco Sanarelli è il figlio di Amelia e di Italo, che hanno – dal nulla – creato la Mely’s. Oggi, l’azienda è nelle sue mani e in quelle delle moglie Daniela. Le sue tre figlie, Maria Claudia, Maria Elena e Maria Laura, sono la terza generazione che si appresta ad assumere la guida. Marco apre con orgoglio ogni porta dello stabilimento, tra telai, cucitrici e una cascata colorata di filati. Un microcosmo da 120 dipendenti diretti e oltre 250 in subfornitura. Sorride mentre spiega, poi si ferma, per controllare con occhio clinico la resa di un tessuto lavato che viene sottoposto al suo giudizio. Poi inizia a sfogliare l’album della famiglia Mely’s, partendo dall’inizio.“Mia madre, Amelia, nacque in Francia da genitori emigrati – racconta Marco. C’erano tanti italiani all’epoca che partivano per trovare impiego.

Mio nonno lavorava nelle miniere di carbone e morì di silicosi una volta tornato in Italia. Mia madre è cresciuta Oltralpe sentendosi chiamare “Amelie”, alla francese. Nome che, rimpatriando, si portò appresso, tramutato in Mely”. Un genitivo sassone in fondo, ed ecco nato il brand “Mely’s”. Dietro si alimentava il sogno di Amelia e del marito, Italo Sanarelli. “Per dar forma al desiderio ci volle la concretezza di una cambiale, con cui fu acquistata la prima macchina da cucire. Le mani di mia madre – che già realizzava maglioni artigianali – e l’abilità di vendita di mio padre fecero il resto”, continua Marco. Era il 15 novembre 1956 quando la Mely’s fu inaugurata: sullo sfondo di un’Arezzo povera, profondamente ferita dalla guerra, ma vogliosa di riscatto, partiva l’avventura col simbolo delle mani e del filo. Ad Amelia si aggiunsero alcune lavoratrici nel piccolo laboratorio di via Vittorio Veneto. Il cashmere era ancora lontano da venire, si lavorava la lana, il cotone, l’acrilico. Forma impeccabile, fattura artigiana: i Magazzini Ficai di Arezzo e i Magazzini Giglio di Firenze distribuivano senza difficoltà. “La svolta è arrivata agli inizi degli anni ’60” continua Marco, annunciando la prima leggendaria vendita strutturata che permise all’azienda aretina di farsi conoscere in Francia. Ovvero – trattandosi di moda – nel mondo. Il mito fondativo racconta di una avventurosa trasferta a Parigi “a bordo di una Fiat Seicento e con una valigia di campionario”.

La conoscenza della lingua e della cultura francese permisero ad Amelia di prendere un appuntamento con un responsabile delle prestigiose Galeries Lafayette. In una saletta d’aspetto affollata, Amelia e Italo si fecero largo, impressionando il direttore. “Si chiamava monsieur Bosque – dice Marco con un sorriso. Una volta che aprì la valigetta di mio padre, esclamò: E’ proprio quello che voglio”. La Mely’s aveva fatto il primo, grande, centro. “Da piccola magliettaia, il laboratorio artigianale si ingrandì per rispondere ai nuovi ordinativi programmati”.

Alla fine degli ’60 e nei primi ’70 il rapporto con Firenze diventò solido. “La città, in quel periodo, era la capitale della moda italiana, nonché uno dei punti di riferimento mondiali del settore. E per la Mely’s, aretina, fu una fortuna enorme”. Nell’immediato dopoguerra, infatti, la brillante intuizione dell’imprenditore Giovanni Battista Giorgini, di fatto, “creò” l’alta moda in Italia, con la prima sfilata del genere a Firenze, nel 1951. Il mondo scoprì allora l’eleganza del Made in Italy, che peraltro vantava prezzi più competitivi rispetto alla moda parigina. I grandi stilisti nazionali si affermarono a seguito di quell’episodio e Firenze calamitò progressivamente attenzione, diventando un hub del fashion. Tanto che tutte le maison aprirono sedi in città. “Mely’s riuscì a inserirsi in questo circuito tra gli inizi degli anni ’60 fino ai primi anni ’80: aveva penetrato i principali department store globali, perché tutti i colossi della distribuzione mondiale avevano uffici commerciali a Firenze e – prosegue Marco Sanarelli – questo permise, nel 1966, di trasferirsi da Saione a Olmo in un vero stabilimento strutturato. Ma dagli inizi degli anni ’70 si aprì un nuovo capitolo, con un grande salto qualitativo. Perché arrivarono le grandi firme”. Mely’s si affermò, diventando sinonimo di quel “tocco” italiano nella realizzazione dei capi tanto richiesto dal mercato . “La prima casa di moda con cui l’azienda collaborò – dice Marco – fu Christian Dior, seguirono tante altre. Abbiamo lavorato al fianco di tutti i più grandi nomi e continuiamo a farlo. Hermes, Chanel solo per citarne alcuni. A metà degli anni ’80 la nostra clientela era già formata dalle più grandi griffe”.

L’identità di Mely’s, ormai definita, si consolida. Si apre l’era del cashmere. E l’azienda cresce ancora. I dipendenti non sono più alcune decine, l’impresa merita uno spazio nuovo. “Alla fine degli anni ’90 – aggiunge Marco – è iniziata la progettazione dell’attuale stabilimento. Lo abbiamo inaugurato nel 2001. Dal 1990 ho portato avanti l’attività assieme a mia sorella Elena, affrontando insieme la crisi. Abbiamo resistito, facendo leva sull’elemento che ci contraddistingue: il nostro saper fare. Il settore del lusso ha accusato meno il colpo rispetto agli altri: possono esserci oscillazioni di mercato, ma non tracolli. Avevamo anche creato un marchio nostro, ma non ha funzionato. Così abbiamo deciso di proseguire nella strada per noi più congeniale: sviluppare e produrre capi pregiati per le grandi case di moda. E, dopo una contrazione degli ordini a cavallo tra il primo e secondo decennio degli anni 2000, siamo ripartiti più forti di prima. Dal 2017 sono rimasto solo alla guida, con mia moglie e le mie tre figlie”.

E adesso? “Dobbiamo ampliarci ulteriormente – spiega Marco – ma rimarremo in zona, con una nuova struttura. Non delocalizziamo, nonostante le difficoltà, la burocrazia, la mancanza di infrastrutture. La Toscana è la patria delle cose ben fatte. Ci sono tutti gli elementi per un artigianato di qualità assoluta. La nostra forza è uno staff consolidato, tra cui maestre magliettaie che si tramandano il savoir-faire che ci viene richiesto. Giochiamo una partita piccola, ma di livello altissimo: realizziamo circa 50mila capi annui con 300 diverse referenze. Siamo costantemente alla ricerca di tecniche innovative, di filati particolari, di macchinari all’avanguardia per creare capolavori, una maglieria costosissima per nicchie di clientela. Ho visto i nostri capi indossati da star, principesse, premières dames, grandi attrici e top model, motivo di grande soddisfazione. Una scalata vertiginosa, insomma. “Sì, ma alla fine – conclude Marco – non dimentico mai che il tesoro della Mely’s sono le meravigliose mani che sanno come si lavora”.

Fabbrica green, nuova vita per gli scarti di produzione
Da tempo Mely’s rivolge un’attenzione particolare al rispetto dell’ambiente, promuovendo pratiche volte all’ecosostenibilità. Cerca di ridurre l’impatto dell’attività produttiva sull’ambiente e sfrutta fonti energetiche rinnovabili. L’azienda si è infatti dotata di un impianto fotovoltaico, conferisce responsabilmente tutti gli scarti di produzione, dirottandoli verso imprese che li riciclano, ottenendo materie prime di seconda generazione usate, ad esempio, per le imbottiture dell’industria automobilistica.