Una delle opere più intense e significative della storia dell’arte italiana è custodita nel Museo della Basilica di Santa Maria delle Grazie a San Giovanni Valdarno. Il capolavoro, come racconta Filippo Boni nel suo ultimo libro “Muoio per te”, nel 1944 finì nelle mire del gerarca nazista Hermann Göring, esteta e sanguinario, che lo voleva per la propria collezione. Padre Alfonso Turchetti, esile e risoluto francescano, riuscì a salvarlo

Non è solo una fedele devota che si piega alla volontà del Signore. Maria, agli occhi di frate Giovanni da Fiesole, detto Beato Angelico, è eleganza, dignità, coraggio. La bellezza di una donna protagonista che, con consapevolezza e serenità, accoglie il compito che le è stato assegnato. Sceglie di accettarlo.

Il Museo della Basilica di Santa Maria delle Grazie, situato nella centrale piazza Masaccio a San Giovanni Valdarno, rappresenta uno scrigno di tesori artistici unici. Istituito nel 1864 per raccogliere in un solo luogo opere che si trovavano nelle chiese minori, è stato più volte ristrutturato ed ampliato, con l’aggiunta di tre nuove sale nel 2005. Ma è dal 1990 che vi trova casa l’opera più importante: “L’Annunciazione” del Beato Angelico. Datata fra il 1432 e il 1435, il dipinto è il fulcro della collezione su cui si è costruito il percorso iconologico. Il capolavoro, una delle opere più intense e significative della storia dell’arte, colpisce per la lucentezza e la vividezza dei colori e per la cura dei dettagli. Per questo, nel 1944, divenne oggetto delle mire del gerarca nazista Hermann Göring, esteta e sanguinario, che lo voleva per la propria collezione personale. Fu un frate esile e risoluto a salvarlo dalla sottrazione.

Leggendo l’Annunciazione

L’Annunciazione di Guido di Piero, fra Giovanni da Fiesole detto Beato Angelico, è una tempera su tavola risalente, con ogni probabilità, alla fase giovanile dell’artista. Forse la seconda delle tre Annunciazioni dipinte dal frate domenicano insieme a quella per San Domenico di Fiesole, adesso al museo del Prado a Madrid e a quella per San Domenico a Cortona, custodita al museo diocesano cittadino. “L’opera – spiega la direttrice del museo della Basilica, Michela Martini – nonostante gli elementi tardogotici, riflette le novità rinascimentali di Masaccio e Brunelleschi, come l’impianto prospettico perfettamente centrale e la bella loggia ad arcate a tutto sesto lateralmente aperta sul giardino dell’Eden. Sullo sfondo, l’austera cella di Maria con la finestra ferrata che accentua il senso di profondità. Per primo l’Angelico inserisce l’annuncio a Maria nell’Historia salutis, la storia della salvezza. Iniziata dalla rottura dell’alleanza tra l’uomo e Dio, con la cacciata di Adamo ed Eva raffigurati miniaturisticamente in alto a sinistra, prosegue con Isaia che preannuncia la nascita dell’Emmanuele, dipinto nel tondo, avvolto dal cartiglio con l’iscrizione profetica e si compie attraverso il ‘sì’ di Maria che accetta di diventare madre del Verbo incarnato. La storia prosegue con il Giudizio finale e la proclamazione dell’eternità di Dio, cui alludono le iscrizioni sul bordo dorato del manto della Vergine, ‘Donec veniat’ e ‘Est’”.

Vera omelia figurativa, è ricca di simboli cristologici e mariani, riferiti cioè alla Vergine Maria. “La colonna al centro è simbolo dell’albero della croce e della vita – prosegue Martini – lo splendore dell’oro è emblema della luce divina e la palma, simbolo della vittoria sul peccato e sulla morte, ma anche allusione alla passione di Cristo e al martirio. Nel giardino, delimitato dal recinto, che rappresenta la verginità di Maria, trova spazio una grande varietà di fiori, tratteggiati con estrema precisione: il classico giglio, posto però in secondo piano e non in mano all’angelo, le primule, che alludono alla nuova primavera della vita (l’Annunciazione si compie il 25 marzo, nove mesi prima del Natale), il garofano rosso, simbolo di fidanzamento e il melograno, allusione alla fecondità”. Altri simboli sono la porta che si apre, ingresso attraverso il quale Dio si fa uomo e viene al mondo; la piccola finestra ferrata, che, nell’oscurità della notte in cui si compie il mistero dell’incarnazione, fa passare un raggio di luce, allude alla verginità di Maria attraverso cui penetra solo la luce divina; infine la cella con la semplice panca di legno è simbolo dell’umiltà della ragazza, scelta tra tutte le donne per diventare regina del cielo.

“Poi – conclude la direttrice Michela Martini – troviamo la decorazione delle pareti con sfumati effetti marmorei che descrive la mutevolezza e peccaminosità del mondo, cangiante e multiforme rispetto all’immobilità e simmetria del cielo stellato della volta, segno della perfezione divina. Elemento scioccante e di incredibile modernità, il pavimento nuvoloso e indefinito come fosse acquerellato”. La predella in basso mostra le scene della vita di Maria dallo sposalizio, alla visitazione, all’adorazione dei magi, la presentazione al tempio fino alla “Dormitio Mariae”, in cui la Vergine, alla presenza degli apostoli, si addormenta e la sua anima, sotto forma di fanciullo, viene presa in braccio da Cristo per essere portata in cielo.

Cosa accadde il 30 aprile del 1944

Filippo Boni, giornalista e studioso del Novecento e degli anni di piombo, anche vice sindaco di Cavriglia, nel suo ultimo libro “Muoio per te”, edito da Longanesi, narra una drammatica e straordinaria vicenda legata all’Annunciazione del Beato Angelico.

Il volume di Boni, avvincente e profondo è incentrato sull’atroce e impunito massacro nazifascista di Cavriglia in cui 192 persone innocenti vennero ammazzate nel luglio del 1944 nelle frazioni di Meleto, Castelnuovo, Massa e San Martino. Rastrellate e ferocemente uccise dai reparti tedeschi della Divisione Hermann Göring.

Il libro si apre nel monastero francescano di Montecarlo, nei pressi di San Giovanni Valdarno dove era custodita l’opera dell’Angelico. “Il portone del convento tremava sotto i pesanti colpi della maniglia in ferro. Nel silenzio del mattino padre Alfonso Turchetti, conosciuto da tutti a San Giovanni Valdarno come «il curatino» per via delle sue tenere fattezze infantili, li stava aspettando! Sapeva che quel 30 aprile sarebbe stato un giorno nefasto per lui e per la comunità dei francescani: era stato avvisato da qualche mese che i soldati sarebbero arrivati e non sarebbero stati gentili”. (pagina 17 “Muoio per te”)

Il leader nazista Hermann Göring, feroce braccio destro di Hitler, esperto e bulimico collezionista d’arte, aveva inviato in Italia il Kunstschutz, il corpo militare che avrebbe dovuto proteggere le opere più importanti dai bombardamenti. In realtà, con questa scusa, le prelevava per portarle in Germania. Nell’elenco dei capolavori che desiderava per la sua personale collezione, figurava anche l’Annunciazione del Beato Angelico.

Quella sera, come racconta Filippo Boni in “Muoio per te”, padre Alfonso andò ad aprire il portone armato solo di coraggio e ingenua speranza. Sapeva benissimo chi era a bussare. Il capitano Wolf, insieme ad altri tre soldati in divisa nazista, aveva il compito di “recuperare” il dipinto con ogni mezzo. Dopo aver scaraventato a terra il frate con violenza, minacciò di ucciderlo se non avesse mostrato loro dove si trovava l’opera. Ma l’Annunciazione non era più fra quelle mura. Rodolfo Siviero, storico dell’arte e spia antifascista che, per quasi tutta la sua carriera, si impegnò per far rientrare in Italia le opere d’arte trafugate e per impedire che, durante gli eventi bellici, le opere fossero rubate, aveva consigliato a Giovanni Poggi, soprintendente delle Belle Arti di Firenze, di recarsi al convento di Montecarlo poco tempo prima. Quest’ultimo, con due operai e la complicità di Padre Alfonso Turchetti, aveva staccato dal muro il capolavoro, lo aveva avvolto accuratamente, adagiato sul cassone di un camion con dei materassi e portato alle cantine segrete degli Uffizi dove sarebbe stato al sicuro.

Ma in quel 30 aprile del ‘44 il povero frate si ritrovò a giustificare una nicchia vuota con un mitra puntato addosso e lo sguardo, furibondo e senza pietà, di chi non accetta scuse.

“Wolf era furente. Si voltò verso il povero frate schiumando dalla rabbia e gli corse incontro. «Hasslicher mieser Bruder! Jetzt toten wir dich wie einen Hund!» Il curatino non capiva una parola, ma gli era chiaro dal tono che non doveva essere nulla di buono. Quando si vide arrivare addosso la furia di Wolf si gettò a terra, si inginocchiò e implorò i soldati: «Ve lo giuro, signori, il dipinto è stato portato in Vaticano sei mesi fa! lo non posso farci nulla! In archivio ho anche un certificato rilasciato dalla Santa Sede che attesta il trasferimento a Roma. Lasciatemi andare a prenderlo!». (Pag. 23, “Muoio per te”)

Alfonso Turchetti, Un frate racconta… : frati, soldati e sfollati insieme dal 1943 al 1944 nel Convento di Montecarlo a San Giovanni Valdarno, a cura di Paolo Bonci, Fiesole, Servizio editoriale fiesolano, 2000

La pergamena era un falso, consegnatagli da Poggi prima di andarsene. Ma, dopo averla attentamente analizzata, il professor Alexander Langsdorff, capo del Kunstschutz, ne attestò l’autenticità, ammettendo che il Papa li aveva preceduti e che l’opera si trovava adesso in Vaticano. Padre Turchetti ebbe salva la vita. E, miracolosamente, riuscì a proteggere quella dell’Annunciazione.

Rivolgendosi a padre Tarcisio che lo aveva raggiunto dopo che i militari se ne erano andati, con una cartolina in mano raffigurante l’Annunciazione, spiegò: «Questo dipinto non è solo un capolavoro di pittura straordinario, carissimo Tarcisio, ma anche un immenso messaggio rivoluzionario cristiano di speranza per i popoli che attraversa il tempo e la storia. Quelle bestie che se ne sono appena andate non lo possono sapere: il perdono e la redenzione cui si allude nel dipinto riguardano anche loro. Adesso andiamo, dobbiamo terminare le lodi». (Pagina 28, “Muoio per te”).

Durante la seconda guerra mondiale nel convento di Montecarlo venne formato il Comitato di Liberazione Nazionale del Valdarno superiore. Il “curatino”, francescano intelligente e spirituale, punto di riferimento per l’intera comunità, fu proclamato cittadino onorario di San Giovanni Valdarno.