Giancarlo Canti, famiglia fiorentina e natali aretini, è un imprenditore di successo con Rocca Toscana, che riscuote l’attenzione di ristoranti stellati e raccoglie premi in tutto il mondo, grazie ai trentanove formaggi diversi che produce ogni anno.

La famiglia Canti opera nel settore caseario dal 1956 e, anno dopo anno, è riuscita a maturare una spiccata specializzazione nella selezione, stagionatura e affinatura dei pecorini. Così nel 2015 è nata Rocca Toscana Formaggi che si è identificata fin da subito per la capacità di curare ogni fase della filiera a partire dalla selezione delle materie prime. Il latte proviene esclusivamente da allevatori selezionati, in massima parte situati in Italia centrale, nel territorio individuato per la raccolta del Pecorino Toscano DOP. Questo favorisce la raccolta del latte fresco appena munto che viene poi lavorato a Roccastrada, dove ha inizio la produzione: qui la maestria e la sapienza dei casari hanno un ruolo fondamentale nel lento e paziente processo da cui ha origine ogni prodotto. Una storia imprenditoriale di incontri, tra la capacità di selezionare e di stagionare formaggi della famiglia Canti, ad Arezzo, e la capacità di produrne di ottimi del caseificio di Roccastrada. L’incontro della tradizione millenaria dell’arte casearia con nuovi sapori e nuovi abbinamenti. In Rocca Toscana Formaggi si uniscono tutte le componenti di una filiera che, dal pascolo alla tavola, permettono di garantire formaggi di alta qualità.

Mi racconti la sua storia professionale…
“L’azienda è nata con mio padre quasi settanta anni fa, io sono entrato nel 1979. All’inizio commerciava e distribuiva formaggi, poi ci siamo ampliati con un notevole assortimento di prodotti, intorno ai primi Duemila. Un aneddoto racconta meglio di tante parole la nostra crescita: negli anni Novanta, fuori dall’orario di lavoro, ho iniziato ad affinare e stagionare i nostri prodotti in modi mai provati prima, mio padre si arrabbiava perché pensava che questo mi distraesse dal resto. Mi guidava una grande passione che poi si è dimostrata vincente nell’evoluzione del nostro settore. Anche perché i produttori a un certo punto avevano iniziato a commercializzare in proprio i formaggi. Grazie alla mia passione ho conosciuto tante realtà casearie toscane, pregi, difetti, vita, morte e miracoli, come si suol dire, intensificando il rapporto con un caseificio che faceva un formaggio tre categorie superiori a tutti gli altri. Attraverso svariate vicende societarie sono arrivato ad acquisire quel caseificio: una realtà con 65 anni di storia e dipendenti esperti che non solo amano il loro lavoro, lo sanno fare. Questo per noi è stato il passaggio definitivo: dal commerciare prodotti di altri, a farli, poterli creare, sperimentare, avere qualcosa che altri non hanno. Oggi abbiamo circa 30 dipendenti, metà a Roccastrada dove si fa il formaggio e metà
ad Arezzo, dove si stagiona e si commercializza”.

Si considera un imprenditore del formaggio o un imprenditore che produce formaggio?
“Noi Canti, e considero anche mia sorella e mio figlio, ci riteniamo degli imprenditori che cercano di dare al mercato un prodotto diverso rispetto a ciò che ha ricevuto fino a ora. Innoviamo cercando di rimanere fortemente ancorati alla tradizione, con una profondità di gamma senza precedenti e con grande attenzione alla qualità dei prodotti. La definizione trovatela voi”.

Un’azienda di famiglia quali plus ha rispetto alle altre?
“Sicuramente la conoscenza e la determinazione delle dinamiche interne, potendo controllare tutto in prima persona. Dall’altra i difetti di un’azienda familiare, ma io vedo soprattutto i pregi”.

Cosa significava produrre formaggio venti anni fa e cosa significa oggi?
“Ci sono differenze enormi. Vent’anni fa, estremizzo, si poteva prendere una pentola, bollire il latte e fare il formaggio. Oggi ci sono tanti controlli di qualità, igienico sanitari e normative in continua evoluzione. Questa maggiore attenzione alla produzione, però, non ha tolto niente al buon vecchio formaggio che produciamo, anzi”.
Come sono cambiati i gusti rispetto ai prodotti e questi rispetto ai primi?
“Oggi le persone sono molto più informate. Vogliono sapere da dove viene il latte, come e dove è fatto il formaggio, cercano ingredienti naturali, soprattutto dopo il Covid. Siamo rimasti chiusi in casa per mesi con tante trasmissioni che parlavano di cucina, così abbiamo maturato un’attenzione estrema nei confronti del cibo. Ecco, noi offriamo una gamma di prodotti, ben 39 varietà, che ritengo davvero sorprendente anche in confronto a quella dei nostri migliori e stimati competitor. Alcuni formaggi sono tradizionali, altri innovativi, a volte tradizionali ma innovativi. Siamo presenti là dove si cerca la qualità, il consumatore che al banco cerca un pecorino in offerta al prezzo più basso non è il nostro cliente”.

Qual è il formaggio più complesso da produrre?
“Nessun formaggio è facile da fare perché la ricetta deve essere applicata su una materia prima, il latte, che muta continuamente. Ma la produzione è solo una parte del tutto, solo l’inizio, poi c’è il resto: stagionatura e affinatura. Questo vuol dire che un prodotto buono non basta per fare un ottimo formaggio, serve saperlo anche manutenere fino alla sua commercializzazione”.

Nella produzione contano più i segreti o i disciplinari?
“Tra i nostri prodotti rientrano, tra gli altri, il Pecorino Toscano DOP e “L’Ambra di Talamello” formaggio prodotto e stagionato in fossa secondo il disciplinare elaborato dal Comune di Talamello. Quindi sappiamo cosa significa essere parte di una filiera certificata, ne riconosciamo e rispettiamo l’importanza, i controlli. Ma ogni disciplinare poi deve essere elaborato sul campo, e qui l’abilità, l’esperienza del casaro e dello stagionatore, i loro segreti fanno la differenza”.

Classici, aromatizzati, affinati e biologici, cosa ci raccontano questi aggettivi del formaggio?
“Non si può prescindere dai classici anche quando si cerca di conquistare un’utenza più ampia. Le aromatizzazioni devono incuriosire pur rimanendo nella tradizione. Pensando al detto “Al contadino non far sapere quanto è buono il cacio con le pere” ho prodotto il pecorino alle pere e ha avuto un successo straordinario. Ci vuole una grande attenzione nella preparazione dei prodotti e bisogna cercare di interpretare le esigenze dei consumatori”.

Territorio, animali, lavorazione, in quale percentuale ognuna di queste componenti incide sulla bontà di un formaggio?
“Il territorio è importante per gli animali e i profumi, ma la lavorazione è fondamentale: un ottimo casaro con un latte mediocre può fare un buon formaggio, un casaro mediocre anche con un ottimo latte fa un formaggio mediocre. La lavorazione fa la differenza”.

Cosa vuol dire confezionare prodotti di eccellenza?

“È il nostro obiettivo primario. Ma conta poco che me lo dica da solo, conta che i nostri prodotti incontrino il favore della clientela e delle giurie internazionali. Per noi è fondamentale mettere in commercio prodotti che siano ritenuti di eccellenza”.

Quali sono gli elementi che fanno di un formaggio un prodotto unico?

“Vista, olfatto, gusto, equilibrio e palatabilità. Un prodotto deve darti delle sensazioni, ti deve trasmettere qualcosa, dire buono o cattivo è facile, ma perché è buono? Cosa mi lascia in bocca? E soprattutto, ne voglio ancora?”.
Cosa significa essere un imprenditore che produce formaggio oggi rispetto a quando la sua famiglia ha iniziato?
“Noi agli inizi non eravamo produttori, però secondo le esperienze di amici e colleghi prima era più facile, c’erano meno normative e meno concorrenza. Essere produttori oggi è un lavoro difficilissimo, comunque più intrigante di quello passato del commerciante. Noi caseifici di latte ovicaprino ci troviamo a fronteggiare la forte stagionalità della produzione di latte, il 60 per cento della produzione avviene in tre mesi e dobbiamo gestire la rotazione di questo e dei prodotti per tutto il resto dell’anno; è la cosa più difficile”.
I vostri prodotti hanno vinto tantissimi premi, ne cito tre: Taste Good al pecorino stagionato al tartufo “Il Piacere” 2019, Gold al pecorino stagionato con scorze di arancia candita “Il Tesoro” 2022 e Gold al pecorino con “Pistacchio verde di Bronte DOP” “Il Frastuchino” 2023.

Quale le ha dato maggiore soddisfazione?
“Tutti importanti nella stessa misura. Più che il colore della medaglia conta arrivare sul podio con più prodotti. Al World Cheese Awards 2023 su 9 formaggi 8 sono andati a medaglia, sarei stato molto più preoccupato se su 12 solo 3 avessero vinto una medaglia d’oro e gli altri niente. Le giurie sono fatte di uomini che con il loro gusto possono determinare un primo piuttosto che un secondo posto all’interno della stessa manifestazione. L’importante è raggiungere il podio con più prodotti perché questo certifica l’equilibrio e la continuità dell’eccellenza dei nostri formaggi”.

Qual è il suo sport preferito?

“Il calcio, sono un interista D.O.G.C.”.
Se dovesse accostare tre suoi formaggi a tre campioni quali sceglierebbe e perché?
“L’Ambra di Talamello a Ronaldo il Fenomeno, unici. Il pecorino stagionato in grotta a Javier Zanetti, tosto, determinato, grande applicazione. Il tartufo a Lautaro Martinez, che ti fa emozionare ogni volta che tocca palla o conclude un’azione”.

Di che pasta è fatto Giancarlo Canti?
“Determinato e cocciuto, nel contempo credo di essere disponibile al confronto, pur essendo abituato a prendere l’ultima decisione in prima persona. Credo, però, di essere migliorato nel rapporto interpersonale con i miei collaboratori, con i quali ho la voglia e il piacere di confrontarmi sempre. Non sono molto espansivo”.

Da qui a dieci anni come cambierà la produzione del formaggio?

“Fermo restando che gli italiani sono molto legati alla tradizione culinaria, è evidente che se quelli della mia generazione sono cresciuti con la fetta di pecorino stagionata, un po’ piccante, da mandare giù con un bicchiere di vino, mi sembra che il gusto dei consumatori di formaggio si sia modificato e affinato, producendo, oltre a una maggiore consapevolezza, la tendenza verso un gusto più raffinato e amabile. Questo ha già modificato il mercato, dove i formaggi toscani hanno sorpassato quelli sardi, sia nella produzione che nella commercializzazione”.