Si trova a Indicatore ed è un’opera ancora incompiuta. Sulle orme di Antonio Gaudì, Andreina Giorgia Carpenito sta posizionando le tessere di un’utopia insieme ad artisti e volontari provenienti da ogni angolo del pianeta. Un colossale progetto che, nonostante gli enormi ostacoli, ha preso corpo

Quante tessere ci sono nel mosaico della vita? Istanti che si susseguono, di intensità e colore variabile. Generano forme che si estinguono, per germogliare in nuove. Un gigantesco frattale dalle caotiche evoluzioni, che segue nel suo divenire invisibili logiche geometriche: ecco l’esistenza – nella cristiana concezione – che asseconda l’imperscrutabile disegno divino. Le tessere? Non infinite, certo, ma indefinite. Come quelle che compongono l’opera musiva più grande d’Europa nella chiesa di Indicatore. Un progetto completato per un 30-40% al massimo, e che potenzialmente può diventare il mosaico più esteso del mondo. C’è un’idea dietro, ma non un piano dettagliato: il disegno evolve da anni, in base alle risorse, alla disponibilità di materiali, alla creatività delle decine di artisti che ci hanno messo le mani. Muta e si adatta, assecondando le vicissitudini della vita.

“Anarchia organizzata”. Così definisce il lavoro chi l’ha concepito: Andreina Giorgia Carpenito, che al Mosaico di Indicatore ha votato l’esistenza. L’opera è unica, colossale, religiosa, ricca di suggestioni e riferimenti, coloratissima, impressionante, meta di visitatori internazionali a pochi chilometri da Arezzo. E, forse, senza avere la fama che meriterebbe.

All’origine di questa titanica fatica, c’è un incontro. Quello tra Andreina e don Santi Chioccioli della parrocchia di Indicatore. “Era il 1997 – racconta lei – e il sacerdote aveva notato alcune mie opere. Avevo iniziato a lavorare a 16 anni come designer orafa e nel frattempo avevo continuato a studiare. Finita l’Accademia di Belle Arti a Firenze, ho iniziato a realizzare dipinti su commissione. E per la chiesa di Indicatore mi è stata chiesta la pittura di una pala, da porre alle spalle dell’altare”. Ne è nato un trittico, inaugurato l’anno successivo, cromaticamente d’impatto, sul tema della discesa dello Spirito Santo, a cui la struttura religiosa, ultimata nel 1965, è dedicata. Da allora un tocco variopinto ha vivacizzato questa “chiesona” di cemento: primo vagito di un duraturo sodalizio tra artista e prete. Che procede tuttora, non senza divergenze di vedute, ma sempre composte. “Una volta – racconta il sacerdote – mi allontanai e quando tornai, Andreina aveva tagliato tutte le piante del piazzale. Mi arrabbiai. Ma cosa potevo farci?”.

Dapprima il prete affidò ad Andreina gli interni e così sono nate le attuali vetrate colorate: quella absidale con “La Trinità”, poi quelle perimetrali con “La creazione del mondo”. L’artista ha successivamente messo mano alla cappella laterale con il motivo “L’incontro con Gesù”. Quindi si è spostata all’esterno, dipingendo sulla facciata della chiesa “L’Apocalisse di San Giovanni”. Lavori monumentali che hanno coperto oltre un decennio. Il terreno è così diventato fertile per seminare la dirompente idea del mosaico: era il 2009.

L’esigenza pratica era semplice: riqualificare il piazzale antistante la chiesa. Andava trovata una soluzione al rischio deterioramento dato dall’esposizione alle intemperie e Andreina si è ispirata al più grande: Antonio Gaudì, che mise a punto la tecnica del trencadìs, applicazione ornamentale a mosaico che impiega malta e ceramica, per lo più smaltata per ottenere colori brillanti. E’ nato così il Mosaico di Andreina.

Nell’arco di pochi anni vengono pavimentati centinaia di metri quadri: Andreina racconta “La visione di Ezechiele”, i temi del profeta dell’antico testamento sono resi attraverso fiumi, pesci, alberi, frutti. C’è la lotta tra il Bene e Male, separati dal ponte del libero arbitrio. Il terreno si alza e i mosaici diventano tridimensionali, con alberi, colonne e altre strutture che emergono dal suolo in uno spettacolo di enorme impatto. Ma l’opera esonda dai confini immaginati, entra addirittura dentro la chiesa, dove i pavimenti vanno via via “mosaicandosi”.

“Nel tempo, forse, ho imparato ad abbandonare la volontà di controllo. Non è più la mia opera, ma quella di tutti”. Nel 2013 il mosaico è infatti diventato un rivoluzionario progetto di arte pubblica. Contemporaneamente è nata l’associazione culturale Ezechiele con sede nei locali riqualificati della parrocchia, per gestire il progetto del mosaico (e l’accoglienza di artisti da Europa e SudAmerica) e integrando scopi sociali, con corsi d’arte e di musica, aperti a bambini, disabili, detenuti.

C’è un rendering del mosaico ultimato, che Andreina guarda spesso con aria sognante – ci sono un parco sensoriale per le disabilità, uno spazio multidisciplinare, un campanile che permetta una visione dall’alto dell’opera – sapendo di dover fare i conti ora con i capricci, ora con la benevolenza della sorte. “Ma sono serena, c’è un progetto collettivo che andrà avanti, senza che io perda il sonno”.

Il mosaico oggi vive grazie a donazioni, a chi presta volontariamente la propria opera: sono oltre 400 gli artisti da tutto il mondo e più di mille i volontari che hanno finora alimentato il sogno di Indicatore, che attualmente, tra dentro e fuori, supera già i mille metri quadrati di superficie mosaicata. “Sono arrivate persone che professano fedi diverse da quella cattolica, aggiungendo il loro contributo. E’ un’opera nata per superare le barriere, per far dialogare i popoli”.