Assieme al palazzo vescovile e al duomo, il Museo Diocesano di Arte Sacra fa oggi parte di un complesso denominato “Arca di Luce” che custodisce un patrimonio
di straordinaria importanza

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In cima alla collina di San Pietro, dove si trovano anche il Palazzo della Provincia di Arezzo e il Palazzo dei Priori, il Vescovado di Arezzo forma assieme alla Cattedrale dei SS. Pietro e Donato un complesso di arte e fede d’inestimabile valore. Raggiungibile attraverso le strade che salgono da tutte le direzioni verso la parte alta della città o usufruendo del comodo percorso meccanizzato che dai parcheggi di via Pietri sbocca in piazza del Duomo, il palazzo vescovile è ancora oggi la residenza del vescovo della diocesi di Arezzo, Cortona e Sansepolcro, ma al suo interno ospita da alcuni anni anche uno dei musei aretini più preziosi e importanti: il MuDAS, acronimo di Museo Diocesano di Arte Sacra.   

Un nuovo palazzo nel segno di Guglielmino degli Ubertini

L’imponente edificio che vediamo oggi, frutto di continui rimaneggiamenti nei secoli, fu voluto in origine dal vescovo Guglielmino degli Ubertini, che qui si trasferì nel 1256 dalla sede di via Seteria, dove i presuli aretini si erano insediati stabilmente in seguito alla bolla papale del 1203 di Innocenzo III, che li aveva invitati a trasferirsi dentro le mura cittadine, lasciando la cittadella del Pionta.

Nell’area scelta si trovava già la chiesa di San Gregorio Magno, che fu inglobata nel palazzo e ne divenne la cappella.

A quei tempi, di fronte al Vescovado, era presente invece la chiesa di San Pietro Maggiore, elevata a inizio Duecento a cattedrale urbana, nonostante le sue modeste dimensioni. Con il lascito di papa Gregorio X, morto proprio ad Arezzo nel 1276 di ritorno dal Concilio di Lione, partirono i lavori per un nuovo duomo molto più ampio.

Nel 1478, su richiesta del vescovo Gentile de’ Becchi, l’artista fiorentino Bartolomeo della Gatta progettò uno scenografico loggiato per mettere in collegamento sede vescovile e cattedrale.

Il palazzo fu oggetto di successivi interventi che gli dettero l’aspetto attuale. Il più consistente fu quello voluto dal vescovo Pietro Usimbardi a partire dal 1595, che portò in dote i cicli di affreschi di Teofilo Torri nel piano nobile, realizzati nel primo decennio del Seicento, ma causò la perdita della chiesa di San Gregorio Magno. Altri consistenti lavori che interessarono l’edificio furono quelli del 1710 per volere del vescovo Benedetto Falconcini. In quel frangente venne tamponato il loggiato, per essere trasformato in una nuova ala del Vescovado.

La nascita del Museo Diocesano di Arezzo

Dal 2011 una parte degli ambienti del piano terra è appannaggio del MuDAS. Il nucleo centrale della collezione è costituito dalle opere raccolte per l’esposizione che si tenne ad Arezzo nel 1950 dal titolo “Mostra d’arte sacra della Diocesi e della Provincia dal sec. XI al XVIII”, fortemente sostenuta da due illustri storici dell’arte del Novecento come Roberto Longhi e Mario Salmi.

Il museo vero e proprio nacque nel 1963 sfruttando alcuni ambienti limitrofi alla sagrestia della cattedrale. Dopo la chiusura degli anni Settanta per attuare una sistemazione più organica e un ampliamento, la collezione fu riaperta ufficialmente al pubblico nel 1985 con l’allestimento curato da Anna Maria Maetzke.

La realtà museale accolse opere provenienti anche da chiese scomparse o vendute a privati, da sedi di compagnie e istituzioni religiose soppresse e in generale da tutti quei luoghi della vasta diocesi aretina dove non era più garantita la sicurezza, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio di arte sacra.

Con il trasferimento del 2011 nel palazzo vescovile il museo venne strutturato in cinque sale sotto la direzione della storica dell’arte Daniela Galoppi, il cui allestimento fu curato dall’architetto Gianclaudio Papasogli Tacca, coadiuvato dall’interior design Luisa Danesi Gori, con il contributo dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze. 

Crocifissi lignei, codici miniati e una veduta del Pionta

La prima sala del MuDAS vale già da sola il prezzo del biglietto. Qui sono infatti presenti tre straordinari crocifissi lignei policromi che vanno dagli anni Settanta del XII secolo ai primi decenni di quello seguente, provenienti dalla scomparsa cittadella vescovile del Pionta. Nello stesso ambiente sono esposti, in una grande teca, tre preziosi codici miniati: due antifonari duecenteschi, ovvero libri liturgici che raccolgono canti religiosi per le ore canoniche, e un innario di fine Quattrocento, ovvero una raccolta di inni sacri.

Per completare la sala dedicata al Pionta, il percorso propone la tela di un artista attivo nella parte finale del Cinquecento, con una delle rare immagini della cittadella dove si osservano i suoi edifici più importanti. L’area del cosiddetto Duomo Vecchio fu rasa al suolo per volere del granduca Cosimo I dei Medici tra il 1561 e il 1563.

L’Annunciazione di Andrea di Nerio. Opera chiave per comprendere il Trecento aretino

La seconda sala del museo propone alcune fondamentali opere del XIV e XV secolo legate dal filo conduttore dell’annunciazione a Maria del concepimento verginale di Gesù. L’opera più emblematica è la tempera su tavola firmata da Andrea di Nerio intorno alla metà del Trecento, proveniente dalla scomparsa chiesa di San Marco al Murello, dipinto chiave per comprendere la scuola aretina del Trecento, influenzata da quelle più importanti di Firenze e Siena ma con peculiarità tutte sue. Da ammirare la dolce “Annunciazione” di Spinello Aretino, affresco staccato degli anni Ottanta del XIV secolo proveniente dalla chiesa di San Lorenzo, e quella rappresentata nella monumentale terracotta del 1434 attribuita a Bernardo Rossellino, giunta forse dal Duomo Vecchio.

Nella sala è presente anche un affresco staccato con la “Madonna in trono con il Bambino” di fine Quattrocento, opera di Lorentino d’Andrea, in origine nella chiesa di San Sebastiano.

Bartolomeo della Gatta, protagonista assoluto della pittura aretina postpierfrancescana

La terza sala del MuDAS è nel segno del più autorevole artista attivo nel territorio aretino nella seconda metà del Quattrocento dopo Piero della Francesca: Piero di Antonio Dei, detto Bartolomeo della Gatta.

Pittore, miniatore, architetto e costruttore di strumenti musicali fiorentino, egli prese i voti come monaco camaldolese e intorno al 1470 giunse ad Arezzo, nel monastero di San Clemente, dove rivestì anche il ruolo di abate e dove rimase, salvo parentesi per committenze artistiche, fino alla morte avvenuta nel 1502.

Il genio rinascimentale, che secondo Giorgio Vasari “ebbe l’ingegno atto a tutte cose”, è presente nel museo con lo straordinario affresco staccato del 1480 circa, che raffigura “San Girolamo penitente”. L’opera, di cui si conserva anche la sinopia, ovvero il disegno preparatorio, proviene dalla parete sinistra del duomo aretino, aperta per realizzare la cappella della Madonna del Conforto in seguito all’episodio miracoloso del 1796. Ancora dell’artista si ammirano due tavole provenienti dalla chiesa di San Pier Piccolo: il “Beato Giacomo Filippo Bertoni da Faenza” del 1485 circa e la “Madonna in trono con il Bambino tra i santi Fabiano e Sebastiano”, realizzata negli ultimi anni di vita assieme all’allievo Domenico Pecori.

Un omaggio a Giorgio Vasari e al Cinquecento   

Non poteva mancare nel MuDAS una sezione dedicata a Giorgio Vasari, pittore, architetto e biografo aretino, autore delle “Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori”, il primo libro organico di storia dell’arte e ancora oggi fonte imprescindibile per chi studia la materia. Dell’artista si ammira nella quarta sala lo stendardo processionale della compagnia di San Giovanni de’ Peducci del 1549, con la “Predica di San Giovanni” da una parte e il “Battesimo di Cristo” dall’altra. Ancora di Vasari è lo stupendo tondo con la “Madonna della Misericordia” del 1557 circa, opera su seta commissionata dalla Fraternita dei Laici, parte anche questa di uno stendardo. Sempre al suo ambito appartengono inoltre i “Misteri del Rosario”, provenienti dalla sagrestia della basilica di San Domenico.

Nella sala solo presenti pure le parti della predella della “Madonna con il Bambino tra angeli e santi” del 1518/19 circa di Luca Signorelli, giunte dal monastero delle sante Margherita e Maddalena, e due oli su tela con santi attribuiti alla cerchia di Gregorio Pagani, dipinti a cavallo tra Cinquecento e Seicento.   

La quinta sala, un tripudio di pittura, scultura e oreficeria sacra

L’affascinate percorso nel MuDAS si completa con la quinta e ultima sala che contiene altri importanti quadri, sculture e terrecotte di varie epoche e oggetti liturgici come calici, ostensori, navicelle, turiboli, reliquiari e croci. L’oggetto più prezioso è senza dubbio la famosa “Pace di Siena”, raffigurante da un lato il “Cristo morto sorretto dagli angeli” e dall’altro la “Madonna addolorata”. Si tratta di un’opera di manifattura franco-fiamminga d’inizio Quattrocento di incredibile raffinatezza e rarità in oro, smalti, pietre preziose e perle. Fu donata da papa Pio II alla cattedrale di Siena, che a sua volta la regalò a quella aretina nel 1799 in seguito ai moti antifrancesi del Viva Maria, che partendo da Arezzo erano dilagati in tutta la Toscana, liberando provvisoriamente anche la città del Palio.

Il piano nobile del Vescovado tra ambienti affrescati, quadri e curiosità  

Dal MuDAS il percorso museale si sposta al primo piano del palazzo vescovile, quello nobile con la funzione di dimora e incontri formali del vescovo, a cui si accede attraverso una scalinata. Il Vestibolo è l’ambiente per l’accoglienza che introduce il visitatore ai santi e ai luoghi di culto principali del territorio aretino, dipinti nelle pareti. Il piano musealizzato propone varie stanze affrescate tra il 1606 e il 1609 da Teofilo Torri con scene tratte dal Vecchio e dal Nuovo Testamento. L’apice viene raggiunto nella monumentale Sala della Giustizia, utilizzata per le assemblee ecclesiastiche e gli eventi, in cui sono presenti anche le allegorie dei vizi capitali. Affrescata dal Torri è pure la cappella palatina con le “Storie di Gesù e San Pietro”.

Altri tre ambienti visitabili sono contrassegnati dai colori delle pareti – rosso, verde e giallo – e accolgono una variegata quadreria con opere che vanno dal XVI al XIX secolo.

Da ricordare infine la cosiddetta Camera dei Papi, destinata ad alloggiare i pontefici in visita ad Arezzo, che negli ultimi decenni ha ospitato Giovanni Paolo II nel 1993 e Benedetto XVI nel 2012. Gli affreschi neoclassici del 1794 presenti sono di Pietro Benvenuti e raffigurano le allegorie della pace e della giustizia.

Arca di Luce. Un progetto per ammirare l’arte sacra aretina con uno sguardo consapevole

Dal 2021 il MuDAS e il palazzo vescovile sono diventati parte di un progetto unico assieme al duomo denominato “Arca di Luce”, gestito da Opera Laboratori, che dà la possibilità di seguire un sorprendente itinerario storico-artistico e religioso, grazie anche alle audioguide ritirabili all’entrata del museo diocesano o nel punto di accoglienza a sinistra della cattedrale. Il visitatore ha così l’opportunità di conoscere i tesori custoditi in modo comprensibile, esauriente e al passo con i tempi.

Serena Nocentini, da anni direttrice dell’Ufficio Beni Culturali della diocesi, a proposito di “Arca di Luce” sottolinea l’importanza di andare alla scoperta dell’intero complesso del Duomo di Arezzo “con un rinnovato e consapevole sguardo sulle opere d’arte sacra e sulla bellezza che da esse si genera, perché sono un patrimonio prezioso di tutta la comunità, testimonianza di quel fecondo colloquio intercorso nei secoli tra arte, fede, chiesa e società”.