Valdarnese di nascita e romano di adozione, Giammarco Sicuro racconta l’appassionante lavoro che lo porta nelle aree di crisi di tutto il mondo.

“Per fare questo mestiere ci vuole una immensa curiosità e una enorme valigia piena di domande”. Lo sa bene Giammarco Sicuro, giornalista e fotoreporter cresciuto tra San Giovanni Valdarno e Montevarchi, trasferitosi a Roma per inseguire la passione in giro per il mondo. “Mi sono specializzato in aree di crisi, sono stato spesso in sud America per raccontare situazioni complicate, realtà di frontiera e di migrazione, di alta criminalità e flagellate dall’estrema povertà, dall’Amazzonia all’Argentina, dal Venezuela al Messico. In Europa mi sono occupato di terrorismo in Gran Bretagna e in Germania, e poi la pandemia di Covid mi ha dato occasione di viaggiare molto, soprattutto in Asia. L’anno scorso sono stato in Afghanistan, luogo complicato in cui sono tornato di recente. È stato difficile constatare come la situazione in poco più di un anno sia cambiata radicalmente con il ritorno dei talebani al potere. Inoltre ancora oggi, dall’inizio del conflitto, seguo la guerra in Ucraina. Alla base di questo lavoro svolto in zone davvero difficili, c’è che mi piace dedicarmi agli ultimi e raccontare le periferie: le ho raccontate prima in Italia per tanto tempo e da qualche anno in altre parti del mondo”. Giammarco torna spesso in Valdarno, suo posto del cuore: “Il legame con la terra è una cosa seria e profonda. Torno tra San Giovanni e Montevarchi di frequente perché qui mi posso davvero rilassare, è il posto in cui fuggo per scappare dal caos e dall’asfalto. Conosco bene il contesto italiano e considero la provincia di Arezzo un’isola felice. Certo, le problematiche ci sono, ma è un luogo che mi piace particolarmente perché qui regge il tessuto sociale e c’è abbastanza lavoro. Se non avessi voluto fare questo mestiere sarei rimasto in Valdarno, dove ancora ci sono buoni valori”. In questo periodo sta facendo varie tappe in Italia la mostra fotografica dal titolo significativo “Can you smile for me? L’infanzia sperduta”: una collezione con oltre ottanta scatti realizzati dal giornalista in paesi come il Myanmar, l’Oman, il Brasile, l’Afghanistan e l’Ucraina, che ha un obiettivo importante: “Mostrare alla gente situazioni di estrema difficoltà attraverso i volti dei bambini, le prime vittime della violenza e della povertà” – spiega Giammarco. La serie di scatti è stata donata all’UNICEF ed è stata inaugurata nell’inverno scorso per poi diventare itinerante: “Dopo Roma, la mostra è approdata in varie parti del paese, e la seconda tappa è stata San Giovanni Valdarno. È stato emozionante presentare nel mio paese questi scatti che per me hanno un forte significato. Nelle situazioni di emergenza sono i bambini ad essere maggiormente colpiti e i loro occhi profondi raccontano tutto, sono in grado di trasmettere emozioni forti. È un modo per sensibilizzare le persone, per raccontare loro un altro mondo che è proprio dietro l’angolo”. Giammarco, oltre ad essere giornalista e fotoreporter, è anche scrittore. Nel 2021 è uscito il suo primo libro, “L’anno dell’alpaca” e quest’anno è uscito “Grano”, che ha come argomento principale la guerra in Ucraina, raccontata come inviato speciale. Si prospetta un periodo interessante per il giornalista, con la mostra fotografica in diversi luoghi d’Italia, i vari appuntamenti in programma per la presentazione di “Grano”, l’uscita a breve di un nuovo progetto e non solo: “Spero di partire presto per altri luoghi significativi come l’Afghanistan, perché il mio posto è tra i più deboli, con coraggio e passione. Mi sento al loro servizio per raccontare quello che stanno passando, sperando di riuscire ad aiutarli. Sono convinto che parlare della loro condizione faccia aumentare la consapevolezza nelle persone di quanta sofferenza ci sia nel mondo, e mi auguro che questo possa smuovere concretamente qualcosa”.