L’alchimia dei tre fratelli Stilo dietro il successo de Le Chiavi d’Oro, punto di riferimento per la ristorazione aretina dal 2007. Ricette moderne e design innovativo: una scossa nel panorama gastronomico cittadino

Un collage di ante di legno, vecchi armadi che vivono, di nuovo, in una parete. Un tavolo d’ottone, i calici di cristallo, l’impeccabile tovaglia bianca. Fianco a fianco, testi di vino e illustrazioni di Caravaggio. Lampade retrò, sedie di recupero. Effetto cemento a terra. L’impronta del ristorante Le Chiavi d’Oro è stata data nel 2007 dall’architetto milanese Vincenzo De Cotiis (lo stesso del concept di Palazzo Sugar), e adesso è già un classico. Il design – ardito per la città dello scorso decennio – ha tracciato un profondo solco, imprimendo svolte nel piatto e fuori. “Siamo orgogliosi di aver dato un contributo”, dice Teresa Stilo. Insieme ai fratelli Francesco e Giovanna è l’artefice di una piccola rivoluzione di gusto e buongusto.

“Dodici anni dopo – racconta – posso dire che siamo soddisfatti di quel che abbiamo creato. Quando abbiamo inaugurato il ristorante, sentivamo la pressione: avevamo a disposizione un angolo magico, tra piazza San Francesco e via Guido Monaco, che aveva ospitato storiche attività. Avevamo il dovere di fare qualcosa di bello e importante per Arezzo”.

Le radici di quel “qualcosa” affondano però in un’altra zona del centro storico, situata non troppo lontano: via Madonna del Prato. Qui Fortunato e Lidia, i genitori di Francesco, Teresa e Giovanna, dopo essersi trasferiti da Nicotera in provincia di Vibo Valentia nel ‘93, aprirono una trattoria. Prodotti genuini e tradizioni calabresi: in breve, gli aretini si innamorarono del posto, per il carattere dei sapori e il calore familiare. L’attività è rimasta in piedi fino al 2009, ma nel frattempo la seconda generazione stava spiccando il volo. Il frutto non cade mai lontano dall’albero: anche i figli, dopo l’apprendistato di famiglia, si volevano lanciare in un’avventura culinaria. Con un target differente. Francesco Stilo aveva frequentato la scuola Alma di Gualtiero Marchesi a Parma, e voleva misurarsi con una sfida all’altezza delle sue capacità, le sorelle hanno assecondato il suo slancio e tutti e tre hanno iniziato a confezionare il sogno di un ristorante nuovo. Intrigante. Che prendesse dalla tradizione, ma senza ancore gravose. Ricette moderne, piatti creativi, legame col territorio. Facile a dirsi ora, complicato anche solo pensarlo quasi tre lustri fa.

E invece l’occasione si presenta. Nel 2006 quell’angolo di piazza San Francesco che ospitava la libreria Pellegrini resta sfitto e i tre fratelli Stilo colgono l’opportunità. “All’epoca non era facile scommettere su questa zona però, non c’erano molti locali e, di sera, era meno frequentata. Credo che abbiamo dato un input notevole, assieme al Caffè dei Costanti e a Terra di Piero, a rinnovare l’immagine della piazza”, continua Teresa. E il nome? “Beh, quello è merito di Beppe Angiolini di Sugar. È stato lui a suggerire di chiamare il locale come lo storico albergo che sorgeva qui un tempo”. Poi arriva anche il consiglio su Decotiis per gli arredi: è lo stesso architetto a disegnare il logo con le tre chiavi. “Un modo per rappresentare e celebrare l’unione dei fratelli Stilo”. Un legame di sangue, ma soprattutto un’intesa di sensibilità. “Il segreto delle Chiavi d’oro – suggerisce Teresa – è proprio questo”.

L’alchimia si crea naturalmente: Francesco in cucina, Giovanna alla pasticceria, Teresa in sala, con gusto, affinato nel tempo, per i vini di qualità. I piatti nascono dall’estro di Francesco, ma devono passare l’esame di famiglia per essere messi nel menu. Lo stesso dicasi per i vini. “Non c’è etichetta che non abbiamo assaggiato e approvato nella nostra carta”. Bottiglie classiche, ma anche produzioni di nicchia. Perle che le Chiavi d’oro selezionano con cura, con un occhio di riguardo, oltre che per la qualità, anche per artigianalità e “Green”. E che diventano protagoniste in pochi, ricercati, eventi enogastronomici, magari alla presenza del produttore.

La giornata scatta alle 8,30, quando Francesco inizia ad impastare pane e pasta e si alza la serranda del laboratorio delle creazioni golose di Giovanna. Alle 10,30 Teresa avvia il servizio per il pranzo. Il triplice fischio arriva a notte fonda, quando la cena si è conclusa. “E adesso abbiamo raddoppiato, perché gestiamo anche la storica Fiaschetteria in via de’ Redi”, aggiunge Teresa. Anche questo locale è marchiato “Chiavi d’oro”, si tratta di un bistrot in cui ci sono poche cose selezionate: espressione di una gastronomia genuina”.

E il menù delle Chiavi d’oro? “Cambia quasi settimanalmente, in base alla stagionalità. Da questo punto di vista siamo maniacali. Gli unici punti di riferimento sono tartare di carne, che abbiniamo però a condimenti diversi, e tagliatelle all’anatra: il nostro must”.

Riavvolgendo il nastro, gli esordi delle Chiavi d’Oro raccontano di una partenza durissima per l’impegno richiesto, grande curiosità generata e pressione per le aspettative da rispettare. Ma anche di un successo clamoroso, determinato da quella formula familiare via via affinata. E ben piantata su uno stile nuovo, fresco, alleggerito rispetto alla tradizione. “Sono contenta se abbiamo contribuito ad indicare una nuova via. La città ci ha dato subito fiducia e noi siamo grati ad Arezzo. D’altronde molti turisti ci scelgono ma se ci siamo affermati è grazie alla fedeltà degli aretini. E oggi abbiamo una clientela bellissima”.