Un capolavoro di leggerezza ed eleganza, uno scrigno di tesori e armonia appena fuori dalle mura della città. Il santuario, tanto caro agli aretini, è lo scenario perfetto di incantevoli matrimoni. La struttura, adesso gestita dai padri carmelitani, ha alle spalle una storia millenaria che inizia in epoca etrusca, quando il luogo era frequentato per il culto delle acque salutari

Geolocalizzazione

Quando usciamo dalla città percorrendo viale Mecenate, il santuario di Santa Maria delle Grazie si spalanca ai nostri occhi come una sublime visione che da oltre cinque secoli colpisce chiunque visiti Arezzo. Ci troviamo a circa un chilometro e mezzo a sud del centro storico, alla base della collina che prende il nome dal complesso religioso. In antichità era detta di Pitigliano e fin dall’epoca etrusca venne frequentata per il culto delle acque salutari. Una fonte pagana, forse dedicata ad Apollo nel periodo romano, fu “bazzicata” dagli aretini per tutto l’alto Medioevo, quando era chiamata Fons Tuta, e il basso Medioevo, quando invece veniva definita Fons Tecta. Le sue acque erano considerate guaritrici, in particolar modo dei mali infantili. Nel Quattrocento erano ancora molti quelli che vi si bagnavano, nonostante che la Chiesa non vedesse di buon occhio la permanenza di questi riti precristiani.

Un santo senza compromessi

Nel 1425 il frate Bernardino degli Albizzeschi, che si trovava ad Arezzo per predicare durante la Quaresima, tentò di smantellare la fonte ma venne cacciato. Tre anni dopo colui che passerà alla storia come San Bernardino da Siena tornò più agguerrito che mai e questa volta, con la collaborazione di un folto gruppo di fedeli, la distrusse e al suo posto fece edificare una cappellina intitolata a Santa Maria delle Grazie. Al suo interno Parri di Spinello, figlio di Spinello Aretino, affrescò intorno al 1430/31 una splendida Madonna della Misericordia nell’atto di proteggere il popolo sotto il suo manto.
Tra il 1435 il 1444, grazie alle sovvenzioni comunali e alla donazione di cento fiorini da parte del magistrato Michelangelo Domisgiani, venne eretta una chiesa a navata unica in stile tardogotico, su progetto di Domenico del Fattore.
Negli anni Cinquanta di quel secolo fu costruita, sul lato destro dell’edificio, una cappella esterna dedicata a San Bernardino. Ancora oggi si possono ammirare nelle sue pareti alcuni cimeli, come la croce di legno che secondo la tradizione il frate aveva con sé durante la processione che anticipò la demolizione della fonte pagana.

La prima piazza porticata del Rinascimento

Nel 1470/71 fu realizzato un piazzale con portico, progettato da Giuliano da Maiano, dove Lorentino d’Andrea, fido collaboratore di Piero della Francesca, affrescò negli anni a seguire le Storie di San Donato. Alcuni resti staccati di questi dipinti quattrocenteschi si possono osservare nella cappella di San Bernardino.
Nel 1695 i Carmelitani Scalzi entrarono in possesso del santuario e nel 1721 chiesero invano al Comune di Arezzo e al Granducato di Toscana i finanziamenti per restaurare il grande porticato, ormai ridotto in condizioni pessime. Vista la costante negazione dei fondi, nel 1788 si optò per uno sciagurato abbattimento. Ubaldo Pasqui e Ugo Viviani, nella loro guida di Arezzo del 1925, ricordavano che il comune mise all’incanto il materiale ottenuto dalla distruzione, ricavandone 426 scudi.
La scenografica struttura rinascimentale, che seguiva quasi tutto il perimetro del piazzale, era compiuta con colonne su base attica e archi gravanti su capitelli ionici, di cui oggi possiamo vedere solo due brevi segmenti.
Il grande storico dell’arte Mario Salmi arrivò a spiegare Santa Maria delle Grazie come “il primo esempio di piazza porticata della Rinascita”.

Il vate innamorato

Tra la seconda metà degli anni Settanta e i primi anni Ottanta del XV secolo, alla facciata della chiesa fu addossata la strepitosa loggia di Benedetto da Maiano, fratello minore di Giuliano. Quest’opera, formata da quindici arcate sostenute da colonne in stile corinzio, è considerata un capolavoro del Rinascimento italiano.
La sua armoniosità fu esaltata anche da Gabriele D’Annunzio, che la definì “aerea loggia” nella serie Le città del Silenzio del 1903, inserita in Elettra, secondo libro delle sue Laudi.
L’aspetto attuale è dovuto al restauro del 1871 a opera di Gaetano Fortini, mentre il soffitto del 1495 fu rifatto nell’Ottocento con il sostegno economico della famiglia Redi.

Scrigno di arte e fede

L’interno del santuario è caratterizzato da opere di vari periodi. Altre sono scomparse o sono state trasferite nel Museo di Arte medievale e moderna di Arezzo.
Scorrendo sulla parete destra è da segnalare un grande affresco che raffigura Papa Sisto IV tra i cardinali Gonzaga e Piccolomini, nell’atto di concedere l’indulgenza al santuario di Santa Maria delle Grazie. L’opera, in parte rovinata, fu eseguita intorno al 1480 da Lorentino d’Andrea e ricorda un atto significativo per la storia del luogo.
La Madonna della Misericordia di Parri di Spinello, di cui parlavamo all’inizio dell’articolo, si conserva invece nell’altare maggiore marmoreo, celebre lavoro di Andrea della Robbia.
Il grande artista fiorentino lo eseguì tra il 1487 e il 1498 con l’aiuto dei figli Giovanni, Marco e Luca il Giovane. Nella parte centrale quattro statue raffigurano San Donato, San Bernardino da Siena e i protomartiri San Lorentino e San Pergentino. L’opera, coronata da una Madonna con il Bambino tra due angeli, è arricchita da putti reggicandela, testine di cherubini e serafini, la colomba dello Spirito Santo, medaglioni con profeti e un elegante festone di frutta in terracotta invetriata policroma. Il paliotto dell’altare maggiore rappresenta, infine, Cristo in pietà con la Madonna e San Giovanni Evangelista dolenti ai lati.

Garibaldi a Santa Maria delle Grazie

All’entrata del piazzale del santuario, restaurato nel 2008, si nota un portale in pietre sbozzate: è ciò che rimane di Porta Santo Spirito, una delle entrate della cinta medicea di Arezzo. L’arco interno fu trasportato qui nel 1893, dopo il discutibile abbattimento.
Nel 1895, venticinquennale della Breccia di Porta Pia, venne sistemata anche una lapide a ricordo di Giuseppe Garibaldi e delle sue truppe, che tra il 22 e il 23 luglio 1849 si accamparono a Santa Maria delle Grazie. Il Comune di Arezzo, come altri governi locali di stampo conservatore, aveva infatti chiuso le sue porte all’eroe dei due mondi, fuggito da Roma il 2 luglio dello stesso anno dopo la disfatta della Repubblica Romana.
La sera del 23 luglio i garibaldini ripartirono in direzione dell’Adriatico. Si erano riposati e rifocillati grazie ai viveri offerti dai carmelitani ma anche dagli aretini, che avevano comunque inviato cibo per i soldati e foraggio per i cavalli. Secondo un racconto popolare uno dei più noti patrioti romani, Ciceruacchio, si ferì a una gamba nelle operazioni di ripartenza.

Tra passato e futuro

Il santuario rimane ancora oggi uno dei luoghi per antonomasia dove celebrare i matrimoni. È sempre gestito dai padri carmelitani, che attualmente sono solo tre, tutti di origine indiana, arrivati ad Arezzo nell’ottobre 2015. A Santa Maria delle Grazie hanno trovato una comunità viva, formata da tanti giovani e anziani che in sinergia portano avanti vari progetti.
Tra gli interventi realizzati nell’ultimo periodo va ricordato il restauro di alcuni ambienti del convento e della sua facciata, concluso nel 2018. Adesso i tre frati sono alla ricerca di fondi per la sistemazione, ormai improrogabile, di ciò che rimane del porticato esterno di Giuliano da Maiano.
La porzione a destra della chiesa è stata già transennata a causa della caduta di alcune parti. Il suo recupero potrebbe trasformarsi, quindi, in una corsa contro il tempo per non perdere anche quel poco che gli aretini riuscirono a salvaguardare 230 anni fa. Mecenati del nuovo millennio, se ci siete battete un colpo.