Laureato in architettura, specializzato in restauro, Leonardo Rossi è anche un manager che supervisiona importanti investimenti immobiliari e di ricerca in ambito comunitario. Aretino e orgoglioso di esserlo, lavora da oltre vent’anni in Romania e nei Balcani. “Ai miei figli voglio trasmettere un approccio alla vita aperto a tutte le esperienze. Le cose nuove portano sempre positività”

L’architetto Leonardo Rossi può godersi un robusto equilibrio tra ciò che sognava di diventare e ciò che ha scoperto di essere cammin facendo. Laureato a Firenze, specializzato in attività di restauro e consolidamento di monumenti storici, prediligendo le strutture in legno, oggi è anche un manager/imprenditore di successo, che organizza investimenti e supervisiona progetti immobiliari e di ricerca/innovazione ambientale. Soprattutto, è un professionista a livello europeo nello sviluppo di partnership pubblico-private sensibili al contenimento energetico a lungo termine. Pragmatico ma ancora incline a coltivare sogni, sicuro di sé e con i piedi per terra, è aretino e, nonostante viva da venticinque anni nei Balcani, non ha smarrito l’humus delle origini.

C’è un punto di partenza nella sua storia personale e professionale?
La toscanità in ogni suo risvolto. Non dico italianità perché l’Italia l’ho vissuta poco, se non grazie agli imprenditori che ho accompagnato negli investimenti all’estero. Nella Toscana leggo tutta la mia preparazione e la mia sensibilità, come architetto e come imprenditore.
E Arezzo che ruolo ha giocato?
Un ruolo importante. Sono nato e cresciuto in zona Cappuccini. La mia famiglia è fortemente legata alla città e ad aziende simbolo come la UnoAErre. Mio padre ne è stato vicedirettore generale, mio nonno negli anni ’70 era a capo di un importante reparto produttivo. Io, figlio unico, all’inizio non ho seguito il trend di famiglia. Dopo aver terminato l’università e aver prestato servizio civile presso la Soprintendenza dei beni culturali, ho scelto l’esperienza internazionale, sorretto sempre dalla mia famiglia.
Cioè?
Partii da architetto progettista a fine 1998 con il desiderio di mettere in pratica tutto ciò che avevo studiato ed ereditato culturalmente. Tra il 1999 e il 2007, dopo aver fondato due aziende di costruzioni, sono arrivato a gestire come Ceo l’impresa Marcora Costruzioni nei Balcani, con circa 400 dipendenti, 50 dei quali ingegneri.
In Romania.
Esatto. Mi sono sentito una sorta di traghettatore per investimenti con un concept occidentale che adattavo ed esaltavo nella realtà dell’est Europa. Nel tempo, alla profonda esperienza di manager aziendale, si è aggiunta quella latente dell’imprenditore nel real estate, potenziata dalla sensibilità per le aree e gli immobili storici e monumentali.
Come ci è arrivato nei Balcani un architetto aretino laureato a Firenze?
Grazie a un concorso internazionale di progettazione che vinsi per la Daewoo nel 1998. L’appalto fu aggiudicato ad un imprenditore di Roma che mi chiese di seguirlo a Bucarest per la direzione dei lavori. Avevo 26 anni, accettai subito sospendendo i miei progetti e rinunciando alle mie comodità toscane. Mi trovai a gestire 40 operai locali, imparai la lingua. Dovevo restare là circa sei mesi, invece fu l’inizio di un percorso che mi ha portato fino ad oggi.
In che periodo eravamo?
Inizio anni 2000. Vent’anni dopo, posso dire che grazie a quelle esperienze mi sono accreditato come un professionista che sa valutare a 360 gradi operazioni immobiliari europee con finalità di business. E questo anche grazie al fatto che ho avuto ottimi maestri vicino.
Che cosa ha imparato?
Che un edificio vale se rende, la bellezza non basta. Deve avere costi accessibili e garantire la sostenibilità dell’investimento. E ho imparato pure che all’estero i giovani sono tenuti nella giusta considerazione.
In Italia no?
In Italia se non sei calvo o non hai i capelli bianchi, non ti dà credito nessuno.
Un vecchio problema purtroppo.
In Romania lo hanno superato alla grande. I giovani hanno energia e voglia di fare, trovano la strada libera, vengono ascoltati. I programmatori che lavorano in Microsoft, negli Stati Uniti, per il 30% sono romeni.
Bucarest è una città europea o soffre ancora dei retaggi del passato?
E’ cambiata molto ed è cambiata in meglio. Si è sviluppata nel ‘900, ha questo stile tardo barocco eclettico che gli italiani non conoscono. Infatti se ne innamorano. Adesso anche il centro storico comincia a diventare attraente e posso dire con orgoglio che c’è un po’ della mia mano.
Quanti progetti ha seguito in questi anni?
Tanti. E da ognuno di questi ho ricavato una grande soddisfazione: l’hotel Hilton nel centro storico di Bucarest, la sede dell’ordine degli architetti della Romania, gli uffici della Banca Mondiale, il centro di accoglienza Don Orione per bambini e anziani, chiese ortodosse e cattoliche, la Galleria Doamnei con attività commerciali e uffici, diversi immobili moderni e monumenti, prevalentemente situati nei centri storici. Sempre più spesso, oltre che quello di architetto, ho rivestito il ruolo di investitore/business developer per diverse start-up, spesso legate al real estate.

“La toscanità è il punto di partenza nella mia storia personale e professionale questa terra è legata la mia sensibilità di architetto e imprenditore”

Tra questi progetti, ce n’è uno che le sta particolarmente a cuore?
Il restauro della casa con la chimera, con la rinascita della cupola di copertura, nel punto 0 della capitale Bucarest. L’edificio fu costruito intorno al 1920 e sopra il fronte semicircolare si ammira una composizione statuaria alta circa 4 metri Si tratta di una chimera, composta da un corpo di donna con le zampe di leone, la testa coperta da un elmo e delle ali molto grandi, fiancheggiata da Mercurio e Cloto
La chimera simbolo di Arezzo.
Esatto, mi è sembrato un segno del destino. L’edificio è diventato la sede/business hub della mia società, la Pietre Edil , e anche l’abitazione dove risiedo con la famiglia. Inoltre per quel progetto di restauro, giudicato la ‘’migliore ristrutturazione di un monumento storico nel 2017’’, siamo stati premiati dall’annuario internazionale di architettura per la Romania.
Come possono andare di pari passo restauro ed efficientamento energetico?
Io porto nel cuore alcune serate fiorentine dove venivo invitato dall’architetto Pierluigi Spadolini, fratello di Giovanni, ex presidente del consiglio, a discutere temi attualissimi e tutt’oggi irrisolti. Lui diceva che restauro e design devono viaggiare in parallelo, non è vero che restaurare significa lasciare tutto com’è. Aveva ragione. A volte serve anche demolire.
Addirittura?
Certo. In Italia su questo ci sono ancora grandi resistenze, all’estero no. Un edificio che divora energia non ha futuro, invece troppo spesso la burocrazia dimostra una miopia insensata, specie quando di mezzo ci sono i patrimoni storici. Un pannello fotovoltaico totalmente reversibile non può diventare un problema, è un controsenso. Aggiungo una cosa.
Sulla situazione italiana?
Sì. Con Pietre Edil srl partecipiamo a importanti progetti di ricerca europei come Cheap-GSHPs, InnoWEE e Geo4Civhic. Cerchiamo, tra le altre finalità, di accelerare l’implementazione di sistemi geotermici per il riscaldamento e il raffreddamento degli edifici storici. Questi progetti, per la maggior parte, sono italiani. Solo che poi si crea un imbuto e alle istituzioni locali non arrivano gli input giusti. All’Italia non mancano le idee, manca la capacità di fare squadra. Non a caso, cito un esempio emblematico, ogni anno perdiamo l’1% del patrimonio artistico affidato agli Uffizi a causa di una conservazione inadeguata.
Quindi l’Europa non è matrigna nei nostri confronti, come molti sostengono?
Per quel che riguarda il mio ambito lavorativo, no. Anzi, noi collaboriamo con il Consiglio Nazionale delle Ricerche di Padova e in Europa abbiamo trovato la dimensione ideale per dare impulso all’attività, anche grazie all’accesso ai fondi comunitari per investimenti geotermici, fotovoltaici e idroelettrici. Con mia moglie Loredana, che ho sposato nel 2012, lavoriamo fianco e fianco e ci integriamo alla perfezione. Lei è un avvocato fiscalista specializzato nei progetti europei, le nostre competenze si sommano e si completano. Mi ha dato una visione più larga del business che potevamo sviluppare.
A chi riserva la sua riconoscenza per essere diventato ciò che è oggi?
Voglio citare i colleghi architetti Giovanni Rupi e Carla Corsi di Arezzo. Ero alle prime esperienze, loro mi spronavano a cercare sempre stimoli nuovi, a non temere il cambiamento. E poi lo studio di Marcello Serboli, una bella persona che in città seguì la nascita della zona Meridiana. Mi avvicinò anche ad Agip Italia, curai il piano di apertura e chiusura dei distributori di carburante nel periodo della riforma; lavorai anche per AGIP Romania. Fu un bel trampolino.

Quanto tempo riesce a dedicare alla sua famiglia?
Con mia moglie ci dividiamo i viaggi di lavoro per essere sempre presenti con i nostri figli.Emanuele e Sofia li portiamo spesso con noi, compatibilmente con le loro esigenze scolastiche. Mi piace che si costruiscano da subito una mentalità europea, internazionale. Oggi sto anche riscoprendo la città di Arezzo con grande gioia.
C’è un obiettivo che si è prefisso per il prossimo futuro?
Insegnare ai miei figli un approccio alla vita aperto a tutte le esperienze. Far capire loro, con l’esempio mio e di mia moglie, che nessun lavoro onesto va scartato a priori. Che le cose nuove portano sempre positività. Il mondo è come la chimera che ho restaurato: cambia aspetto e ti sorprende man mano che ti avvicini e le giri attorno. Questa capacità di adattarsi è la risorsa più preziosa di tutte.

“Io e mia moglie cerchiamo d’insegnare ai nostri figli un approccio alla vita aperto a tutte le esperienze le cose nuove portano sempre positività”