Dalla terra alla tavola, Maria Cristina Gallorini trasforma ogni piatto in un racconto di memoria, passione e tradizione, accogliendo il mondo nella sua scuola di cucina nel cuore della Toscana.
C’è chi cucina per mestiere e chi lo fa per tramandare una cultura. Cristina, ex imprenditrice orafa nell’azienda di famiglia, oggi insieme al marito Giuseppe accoglie viaggiatori da tutto il mondo nella Villa del Poggio del Drago, nel cuore della campagna aretina, dove ha creato la scuola di cucina “Cristina e il Drago”. Qui ogni piatto è un racconto: l’orto, i crostini di mamma, la cipolla con il sale mangiata da bambina sotto un albero. Non si insegna solo a preparare una ribollita o un ragù, ma a sentire il sapore delle radici, la cura per ogni ingrediente, il valore di una tavola condivisa. Per Cristina cucinare è memoria, passione, rispetto per la terra – e un modo potente per raccontare chi siamo.
Il legame con la terra e la cucina sembra un’eredità familiare. Come si racconta questo rapporto nei suoi piatti?
Vivo qui, sulle colline, con mio marito, mio figlio Tommaso e mia mamma Iolanda, che coltiva ancora l’orto con noi. Da lì arrivano sapori autentici, profondi, fatti di stagioni, gesti antichi e rispetto. I prodotti dell’orto hanno qualcosa di diverso, e ogni piatto è un modo per tramandare la nostra tradizione. Oggi i giovani vanno di fretta, abituati a cibi pronti e veloci. Io invece voglio che queste radici non si perdano. Continuare a cucinare come facevano i miei nonni è, per me, un atto d’amore. Il cibo è conoscenza e territorio. Amo usare il cavolo nero, preparare la ribollita, un buon ragù. Quando insegno agli stranieri canadesi, australiani, americani restano colpiti dalla passione che metto. Loro assaggiano la “pomarola” e dicono che si sente tutto: ogni parola, ogni racconto dentro quel sapore. Dico sempre: “Quando arrivate siete estranei, quando andate via siete amici, parte della famiglia.” Per molti è difficile capire perché per noi sia così importante stare a tavola insieme, ma poi lo capiscono. E per me quel momento vale tutto.
Cucinare con passione e rispetto per gli ingredienti è un atto d’amore. Come lo vive ogni giorno?
Non butto via niente, riciclo tutto, perché rispetto chi lavora dietro ogni prodotto e so quanto impegno ci sia. Faccio il pane in casa, ma anche quando lo compro gli do valore. Le bucce di pomodoro le essicco per farne una polvere da utilizzare in varie ricette, l’acqua di cottura la uso per pasta o pappa al pomodoro. I gambi dei carciofi li faccio diventare brodo, i baccelli dei piselli li cuocio e filtro per risotti o vellutate. Collaboriamo con un allevatore locale che ci fornisce carne da piccoli allevamenti. Spesso non decido il menù il giorno prima: guardo cosa ho in frigo e da lì nasce la cucina, spontanea e autentica.
Qual è stato il momento preciso in cui ha capito che cucinare sarebbe stato il modo di raccontare la sua terra?
Non c’è stato un momento preciso. Fin da piccola il cibo per me è sempre stato molto più di un gesto: è memoria. Ricordo la zia che mi porgeva la cipolla in barattolo con il sale, il ragù e i crostini neri di mamma. Mio papà preparava la pappa al pomodoro con pochi pomodori maturi, una ricetta semplice e speciale che faceva solo per sé. Da quando non c’è più, ho iniziato a farla anch’io, e ogni volta quel sapore mi riporta a lui, a casa.
Ho imparato a cucinare guardando la mia famiglia vicino ai fornelli, senza libri, a sentimento, perché per me il sapore è legato ai ricordi e alle emozioni, qualcosa che non si può replicare. Ho fatto tanti corsi, ma ho sempre saputo che un giorno avrei voluto fare di questa passione la mia vita. E così è stato.
Quale sapore, tra quelli della sua famiglia, racconta meglio chi è oggi?
Oltre ai piatti della mia famiglia, ho un ricordo vivido dell’asilo: la pasta nei grandi catini azzurri e le penne al pomodoro servite con un ramaiolo. Quel sapore semplice e autentico del pomodoro non l’ho più ritrovato da nessun’altra parte. Io non dimentico mai le mie origini: vengo dalla terra, i miei erano contadini. Le mie radici sono semplici, rustiche, ma profonde.












