Sara Lovari ha mantenuto viva l’ambizione di mettere in mostra le sue opere a Poppi e dopo sette anni ce l’ha fatta, trasformando il Castello dei Conti Guidi in un’imperdibile meta per gli appassionati di arte contemporanea

“Non è facile credere nell’arte”, ha detto Sara Lovari all’inaugurazione de “La ricerca del desiderio”. E, aggiungiamo noi, non è facile per un artista guadagnarsi da vivere con l’estro e il talento. Anche lei, difatti, ha iniziato pensando di non poter vivere di questo. Casentinese di nascita, classe 1979, ha assecondato le aspettative della famiglia e si è laureata in economia, lasciando all’arte il ruolo marginale di una passione da coltivare nei ritagli di tempo, finché qualcosa non è cambiato. Dal 2007 iniziano ad arrivare premi e riconoscimenti, le sue opere vengono ospitate nelle grandi gallerie di Milano, in Francia, in Inghilterra, negli Stati Uniti, in Giappone. Ma Sara è legata al suo territorio ed è qui che vuole rimanere, qui dove sono le sue radici, dove tutto è cominciato, dove ogni cosa è fonte di ispirazione.

Le tue opere sono intrise di emotività e passione. Come riesci a trasmettere le tue emozioni allo spettatore?

Nelle mie creazioni, da sempre, c’è una scala cromatica molto riconoscibile, che rimanda ai colori neutri e della terra. Ho iniziato con le tele per poi passare agli assemblaggi, alla scultura in carta, mentre ora mi sto cimentando nella lavorazione del ferro. Traggo ispirazione da emozioni semplici in momenti ordinari: viaggiando in bicicletta o in macchina, durante le passeggiate in campagna. Utilizzo oggetti di recupero insieme ad altri che acquisto alla Fiera di Arezzo o da antiquari del territorio: libri antichi, chiavi, cassetti. Non sono mai oggetti anonimi, devono avere delle storie. Li trasformo e li assemblo per fargliene raccontare di nuove: cerco di trasmettere un messaggio che parli di amore, riflessione, nostalgia.

Cosa ha stimolato e influenzato maggiormente la tua creatività?

Vengo da una famiglia semplice e ho avuto un’infanzia bellissima, ho sempre vissuto circondata da tanti amici. Ho studiato in una pluriclasse e credo che questo, contrariamente a quanto si possa pensare, abbia stimolato molto ciascuno di noi: oggi abbiamo tutti una vita professionale appagante, siamo realizzati e felici. I miei genitori disegnavano abiti e il loro lavoro ha ispirato alcune delle mie opere di cartone, che spesso tratto come fosse tessuto, tra cui la camicia Mauro, dedicata a mio padre.

Nel tuo futuro artistico e personale cosa c’è e cosa vorresti che ci fosse?

La collaborazione con la galleria Barbara Paci di Pietrasanta rappresenta un trampolino di lancio verso nuovi spazi espositivi e nuovi clienti, anche all’estero. Voglio sfruttare al massimo queste opportunità, senza però cambiare nulla del mio modo di lavorare perché ci tengo a rimanere riconoscibile, e soprattutto non vorrei vivere in nessun altro posto che non sia casa mia. È proficuo sfruttare anche altre forme di comunicazione per diffondere i miei progetti. Nel caso di “Bébé Géant”, la performance itinerante che ha coinvolto città come Bologna, Venezia, Milano, Napoli e Roma, ho fatto indossare ai passanti un paio di “scarpe giganti” di oltre un metro di lunghezza, realizzate in cartone, chiedendo poi feedback sulle emozioni provate durante la prova: il video è stato fondamentale per rendere comprensibile in pochi minuti quest’incredibile esperienza. Mi piacerebbe imparare a saldare il ferro, perché per ora mi sono limitata a progettare le sculture e vorrei arrivare in fondo alla realizzazione di ogni opera, ma credo che ognuno abbia la propria collocazione e mi piace collaborare con altri professionisti. Sono convinta che da soli si vada poco lontano, mentre uniti si può fare un bellissimo viaggio.