Una infrastruttura fascinosa realizzata tra il Cinquecento e il Seicento, mirabile opera di ingegneria idraulica. Nella zona nord est di Arezzo, dove via Gamurrini si incrocia con via Tarlati, una serie di arcate recentemente sottoposte a restauro catturano l’attenzione. E a breve, grazie alla Brigata Aretina Amici dei Monumenti, sarà inaugurato il percorso pedonale con un sistema di illuminazione notturna.

GEOLOCALIZZAZIONE

A nord-est di Arezzo, dove via Gamurrini incontra via Tarlati, una serie di arcate contrassegna da oltre quattro secoli quella parte della città. Sebbene i turisti spesso le confondano per volte di epoca romana, siamo davanti agli elementi più riconoscibili di un’infrastruttura realizzata a cavallo tra Cinquecento e Seicento: il cosiddetto Acquedotto Vasariano. Andiamo a conoscere meglio la storia di questa mirabile opera di ingegneria idraulica, di recente sottoposta a un complessivo restauro finanziato dall’ente che ancora oggi ne è proprietario: la Fraternita dei Laici.

L’ACQUA IN CITTÀ, UN PROBLEMA ANNOSO

Nel I secolo d.C. la romana Arretium, a quei tempi era servita da un acquedotto che incanalava l’acqua dall’Alpe di Poti, in località Fonte Mura. La conduttura svolse a lungo il suo compito, ma alla fine del XIII secolo versava ormai in condizioni di semiabbandono. Il grande pittore, architetto e storiografo Giorgio Vasari racconta che Jacopo del Casentino fu incaricato dal Governo cittadino, a metà del Trecento, di progettare un nuovo tracciato. Nell’edizione delle sue “Vite” del 1568 egli riporta che l’artista di Pratovecchio «ricondusse sotto le mura d’Arezzo l’acqua», facendo terminare la condotta alla Fonte Veneziana, nei pressi dell’attuale Palazzo di Giustizia. Informazioni che vanno tuttavia prese con le molle, perché la biografia del pittore casentinese è considerata alquanto arbitraria e piena di contraddizioni.

IL MISTERIOSO PASSATO

Agli inizi del XVI secolo l’acquedotto trecentesco era ridotto in pessimo stato. Nel 1527 la Fonte Veneziana smise di funzionare e tra i colpevoli del disservizio, Vasari indicò anche quegli aretini che sfruttavano l’acqua per i loro comodi, ad esempio per annaffiare gli orti. La deficienza di approvvigionamento idrico, che nei mesi estivi provocava disagi alla popolazione, era ormai insostenibile poiché i pozzi pubblici e privati, da soli, non erano in grado di soddisfare tutte le esigenze.

Intorno al 1560 la Fraternita dei Laici, a sue spese, decise di portare una nuova conduttura dentro la città e costruire una fonte nella piazza principale. I rettori chiesero i permessi al granduca Cosimo I e ai Provveditori delle Fabbriche medicee, quindi affidarono il progetto proprio a Giorgio Vasari, a cui si deve la prima fase degli studi di fattibilità e il nome con cui è chiamato l’acquedotto. L’artista aretino si dedicò in primis alla ricerca degli antichi “doccioni” nella valle di Cognaia, alle pendici di Poti. Nel contempo esaminò il modo per deviare l’ultimo tratto della vecchia infrastruttura e livellare il terreno per portare le acque captate fino alle mura cittadine. Da lì bisognava infine giungere in Piazza Grande attraverso un tunnel sotterraneo.

 

I LAVORI

Nel 1574 Vasari morì, lasciando tutto in stato embrionale. Seguì un nuovo periodo di stallo finché, nel 1590, i rettori della Fraternita dei Laici, con il benestare del nuovo granduca Ferdinando I dei Medici, incaricarono l’architetto fiorentino Raffaele Pagni di riprendere in mano il progetto. L’autorizzazione ufficiale a costruire il nuovo acquedotto, finanziato dalla Fraternita con 120.000 scudi, arrivò il 16 maggio 1593. I lavori andarono avanti alcuni anni e furono conclusi nel 1603 da un altro architetto toscano, Gherardo Mechini.

Il disegno finale, che è quello che ammiriamo ancora oggi, consiste in due parti sotterranee e una parte esterna. La prima fase comprende una galleria filtrante di presa nella zona di Cognaia, dove le acque vengono canalizzate per raggiungere l’area bassa della collina di San Fabiano attraverso un percorso in lieve pendenza.

Lì inizia la fase esterna, fatta di 52 arcate monumentali utili a sostenere la condotta pensile fino ai piedi della collina di San Donato, quella dove sorge la Fortezza Medicea. A quel punto l’itinerario torna a essere sottoterra attraverso una galleria che sfocia nella parte inferiore di Piazza Grande, andando ad alimentare la fontana progettata nel 1603 sempre dal Mechini.

LE CONSERVE

In via delle Conserve, a est della città, si possono ancora ammirare i depositi con copertura a botte che fungono da punti di raccolta e purificazione per le acque convogliate dalla falda di Cognaia, che da qui iniziano il loro viaggio verso Arezzo.

Durante i lavori di ristrutturazione della “conserva grande” e della “conserva piccola”, negli anni Trenta, furono ritrovate due teste di cavallo e una testa leonina tardo cinquecentesche di materiale lapideo. Facevano quindi parte di un insieme di serbatoi comunicanti e attraverso le loro bocche l’acqua passava da una vasca all’altra per la decantazione. Adesso le tre protomi sono ammirabili nel chiostro del Museo di Arte Medievale e Moderna.

Nella stessa zona si notano anche gli “smiragli” o pozzi d’aerazione, che esternamente appaiono come dei grandi tombini poliedrici di pietra.

LA VALORIZZAZIONE

Alla fine del 2017 la Fraternita dei Laici ha inaugurato all’interno del suo storico palazzo di Piazza Grande una stanza denominata “Sala dell’acquedotto”, dove si possono ammirare disegni e documenti che riguardano l’infrastruttura, studi di operazioni migliorative e indagini sul suo stato di salute nei secoli, nonché un video che ne racconta le principali vicende.

Pezzo forte è l’enorme tela a olio denominata “Pianta del condotto vasariano di Arezzo e della Fonte della Piazza”, eseguita nel 1696 dal cartografo e impresario edile Giovan Battista Girelli, dove si ammira il percorso completo dell’acqua da Cognaia al centro di Arezzo.

In futuro gli archi verranno valorizzati tramite un percorso pedonale e un adeguato sistema di illuminazione notturna. La Brigata Aretina degli Amici dei Monumenti, infine, ha già dato la sua disponibilità a sostenere il restauro delle due edicole sacre posizionate in uno degli archi dove si uniscono via Gamurrini e via Tarlati. A quel punto la passeggiata intorno all’acquedotto sarà a tutti gli effetti una delle più belle e ambite dell’intero territorio.

IL RESTAURO

Il 20 novembre 2014 il vicesindaco reggente del Comune di Arezzo Stefano Gasperini e il primo rettore della Fraternita dei Laici Liletta Fornasari firmarono l’accordo di programma per il risanamento e il restauro conservativo della conduttura per un costo stimato di 350.000 euro. In base alle intese, la Fraternita avrebbe eseguito gli interventi accendendo un mutuo e anticipando le spese, mentre il Comune, utilizzatore dell’acquedotto e titolare del diritto di enfiteusi (il diritto reale di godimento su un fondo di proprietà altrui), le avrebbe restituite in dieci anni. Nel febbraio 2017 il nuovo Magistrato guidato da Pier Luigi Rossi, in carica dal novembre 2015, dette il via ufficiale al recupero assieme al sindaco Alessandro Ghinelli. Il progetto e i lavori, affidati all’architetto Fabrizio Di Sangro e supervisionati dalla Soprintendenza ABAP di Siena, Grosseto e Arezzo, sono oggi in dirittura d’arrivo. Gli interventi hanno visto la rimozione totale dell’intonaco a malta bastarda e la posa in opera di intonaci a base di malta di calce idraulica naturale e pozzolana. Il consolidamento murario è proseguito con la rasatura pigmentata senza successiva tinteggiatura. Nel frattempo è stato portato avanti il ripristino del sistema di copertura degli archi con lastre di pietra serena scanalate.

Da ricordare, infine, il restauro delle due guardiole, dei vani tecnici e del sistema idraulico della condotta, che consente il corretto deflusso delle acque ed elimina le dannose infiltrazioni.