Migliaia di iscritti, amministratori che devono moderare le discussioni, far rispettare le regole e, a volte, bannare gli utenti. Tutto per puro spirito di servizio. Caotici e disordinati, spontanei e genuini: i gruppi di Facebook sono un vivace spaccato di realtà, utilizzati per le finalità più disparate ma con la città sempre in primo piano. E alla fine anche un post sui social serve a stimolare un prezioso senso d’appartenenza

Sergio ha 86 anni. Il lockdown e gli acciacchi gli impediscono di uscire di casa e allora lui ha iniziato a utilizzare facebook, alla sua veneranda età, per farsi delle chiacchierate online, scambiare impressioni, condividere ricordi. Sergio è uno dei quasi trentamila membri del gruppo “SEI DI AREZZO SE” e l’altro ieri, in segno di cortesia, ha postato la foto di un bicchierino di caffè da asporto, surrogato virtuale del rito più celebrato dagli italiani, quello della tazzina da sorseggiare al bar, adesso inibito dalla zona arancione.
Circa quindici anni fa, come spesso accade su internet, il fenomeno dei gruppi legati a una particolare provenienza geografica è diventato virale. Per quasi tutti la genesi era figlia della nostalgia del passato, della necessità di raccontare i tempi andati, tirando fuori dagli archivi vecchie foto in bianco e nero o qualche video reso più suggestivo dalle immagini a scatti o dall’audio difettoso. Nessun luogo è sfuggito al blob di facebook, il social che per primo ha avuto una diffusione globale di massa e che, a oggi, conta più di 2 miliardi di utenti attivi nel mondo. Arezzo non ha fatto eccezione, anche se con il passare degli anni, ferma restando l’aretinità di fondo, sono mutati gli argomenti di dibattito, le regole della discussione, gli amministratori e i gruppi stessi.
Oggi ce ne sono due che hanno lo stesso nome: il primo, citato in apertura e scritto con le lettere maiuscole, è quello più numeroso. Il secondo, “Sei di Arezzo se…”, conta poco meno di settemila membri. Entrambi sono sopravvissuti a rivolte degli utenti per qualche ban considerato arbitrario, alle polemiche tipiche del web, al logorio dei moderatori e perfino ad attacchi hacker. Nel 2015, infatti, uno dei gruppi venne preso di mira dai pirati informatici che lo resero di fatto ingestibile. Ne seguì un esodo di massa degli iscritti, migrati pochi giorni dopo verso un gruppo neo costituito che ricominciò da zero.
In origine, alla premessa sei di Arezzo se…, seguiva una frase che doveva certificare senza dubbio alcuno l’appartenenza alla comunità: sei di Arezzo se sai chi era la Sputaci (al secolo Angiolina Cipollini), se ricordi cosa successe il 9 giugno 1985 (la rovesciata dei sogni di Neri al Campobasso), se conosci il nome della strada che da piazza San Francesco sale fino a piazza della Libertà. Chi non sapeva rispondere, era fuori. Adesso non è più così, anche se l’iscrizione deve essere convalidata dagli amministratori e ha dei paletti ben precisi: può far parte della community solo chi è nato o vive ad Arezzo, chi ha un profilo reale e visibile e/o amici già iscritti.
In tre lustri, un arco di tempo lunghissimo soprattutto per le dinamiche del web, l’approccio dei membri si è modificato sensibilmente. Resiste la tendenza a pubblicare immagini del passato, a riscoprire storie e personaggi impolverati dal succedersi degli anni, a riportare alla ribalta fatti di cronaca finiti sotto chiave. Sono tratti distintivi della comunità che conserveranno sempre un appeal sopra la media, quasi per contrappasso alla modernità dilagante di cui facebook, come tutti i social, è simbolo rilucente.

Luca Fabbri, amministratore del gruppo SEI DI AREZZO SE

Ma il ventaglio dei contenuti si è allargato e l’aretinità che trasuda dai gruppi in questione è modulata in modo differente. Dentro ci si trova di tutto un po’, in una sorta di bacheca in cui ogni utente ha la possibilità di appiccicare il suo bigliettino per chiedere le informazioni più disparate, commentare un episodio d’attualità, pubblicizzare un’iniziativa, condividere un articolo, una foto, uno stato d’animo.
La mole di post è amplissima e richiede un’attività di supervisione capillare. Luca Fabbri è l’amministratore e punto di riferimento di “SEI DI AREZZO SE”: la responsabilità della gestione di tutte le dinamiche, da quelle più semplici a quelle più spinose, cade sulle sue spalle.
“C’è anche Debora che mi dà una mano – ha raccontato – oltre a quattro moderatori che sono preziosissimi: Daniele, Luca, Nicoletta e Ruben. Tutti abbiamo una vita privata, un lavoro, una famiglia e nessuno di noi ci guadagna un euro. Anzi, il pensiero di intascare qualcosa non ci ha mai sfiorato. Lo facciamo per passione, perché è un divertimento, perché ormai ci sentiamo parte di una comunità. Non è facile, lo ammetto, tant’è che abbiamo dovuto attivare una policy ferrea: niente politica, niente offese né minacce, nessun post pubblicitario di attività poco chiare. Chi non si attiene alle regole, è fuori. E far rispettare le regole, lo garantisco, è compito arduo. A fasi alterne ci piovono addosso le accuse di non essere democratici, di censurare opinioni, ma la linea è netta e non cambia. Non si possono accampare solo diritti e rifiutare ogni dovere”.
“Chi me lo fa fare?” è una domanda che Luca si è posto spesso, anche se poi ha sempre trovato un buon motivo per andare avanti.
“Grazie all’interazione tra utenti abbiamo dato una mano a tante persone. C’è chi ha trovato lavoro, chi ha riportato a casa un cane o un gatto che si era perso, chi ha risolto un problema logistico. Siamo stati promotori di iniziative sociali, organizzando raccolte fondi o acquistando sacchi a pelo per i senzatetto. Non abbiamo certo cambiato il mondo, ma dato il segno della nostra presenza attiva”.
Tutti sanno che i social non sono il contesto più indicato per argomentare e mettere in piedi un confronto costruttivo. Facebook ha un tasso di litigiosità altissimo, con l’aggressività che tracima sovente oltre i livelli di guardia.
“Internet è come tutte le cose della vita. C’è una parte buona e una parte cattiva: sta all’intelligenza delle persone attingere da quella migliore e dare al web la giusta importanza. Non va mai dimenticato che siamo dentro una realtà virtuale, molto importante ma pur sempre fittizia. Facebook non è la verità assoluta, anzi. La verità va cercata, scandagliata e approfondita, spesso fuori dalla rete. Per quanto mi riguarda, utilizzo l’ironia per tenere le discussioni sotto controllo. E siccome mi è sempre piaciuto tentare di capire le persone, consiglio a tutti di prendere le cose con filosofia. Il gruppo è una sorta di esperimento sociale, uno spaccato del mondo vero”.

la home del gruppo “Sei di Arezzo se…”

Adozioni di animali, consigli sul medico più affidabile, pro memoria di eventi, meme che fanno sorridere, ricette di cucina, articoli di stampa: scorrendo la timeline dei post si trovano i contenuti (e i commenti) più disparati. Il dubbio è se questi gruppi svolgano veramente la funzione di prezioso megafono dell’aretinità online o se siano troppo estemporanei per trasmettere un valore riconoscibile.
Di sicuro l’immagine di Arezzo che restituiscono è calzante, per quanto può esserlo una community di facebook governata pur sempre dal famigerato algoritmo di Zuckerberg. Il gruppo, secondo una metafora abusata ma efficace, è come una piazza frequentata da centinaia di persone. Lasciando l’argomento covid (oggi preponderante) fuori dall’analisi, c’è chi brontola, chi manda un saluto, chi parla di cose serie, chi polemizza, chi ammira un monumento, chi vuole fare shopping, chi fa i complimenti a qualcuno e anche chi sta zitto a leggere/ascoltare. In primo piano, comunque, ci sono sempre Arezzo e gli aretini, vivisezionati da tutte le angolazioni.
“Io penso che Arezzo abbia vissuto una trasformazione profonda, economica e sociale, in un periodo relativamente breve. Prima l’oro e le confezioni ne rappresentavano due tratti distintivi, adesso invece la città sta cercando di trovare un’identità nuova, il che è stimolante da un lato e spiazzante dall’altro. Sono venute meno le certezze, ne vanno costruite altre. Mi auguro che questo percorso si sviluppi senza scimmiottare realtà diverse dalla nostra, senza intaccare il nostro dna”.
Alla fine il senso d’appartenenza, specie se sono in vigore lockdown e coprifuoco, si crea anche così: in modo caotico, disordinato ma spontaneo, genuino, partecipando a discussioni più o meno futili ospitate su facebook, dando il buongiorno agli altri mila utenti con una foto abbellita dal filtro più trendy, mettendo uno smile sotto alla classica, intramontabile veduta di piazza Grande. Di tanto in tanto risale l’onda sporca della baraonda, con l’irresistibile tentazione di qualche utente di denigrare tutto e tutti. Ma è fisiologico.
Più significativo è che il post di Sergio, con la foto della tazzina di caffè da asporto, abbia raccolto in poche ore quasi trecento like e una sfilza affettuosa di metaforici abbracci. E’ probabile che, appena le restrizioni si allenteranno, si farà una capatina al bar con qualche amico conquistato online. A riprova del fatto che la parte buona di facebook non è una fake news ma esiste veramente.