Colori, suoni, emozioni di una giornata speciale. Dal colpo di mortaio che sveglia la città al profumo antico della sfida. Ogni sguardo, un pensiero. Ogni gesto, una parola. Il fascino di un’atmosfera che appartiene ad Arezzo e alla sua gente

Il colpo di mortaio sveglia la città. Nell’aria il profumo antico della sfida, di piazza Grande sporcata di terra, di bandiere vissute strette nel pugno. Nella bocca ancora il sapore di baldoria della notte precedente.

E’ il giorno del Saracino. Oggi si corre Giostra.

Sensazioni ed emozioni si inseguono per le vie del centro storico, si ripetono come in un copione rassicurante, dal finale però sempre sconosciuto. Il gusto dell’attesa, della tensione. Chiudere gli occhi e assaggiare ogni istante.

Una bambina fa volare il suo fazzoletto. I raggi del sole trafiggono lo stendardo mentre chiarine e tamburi dettano il ritmo della giornata. Il ritrovo è sempre lo stesso, gli amici quelli di una vita. Il quartiere è un modo di crescere, di vivere, di essere, di ragionare. E’ un modo di piangere, di ridere, di abbracciarsi, di stringere una mano. Impossibile spiegarlo a chi non c’è nato. Ogni sguardo, un pensiero. Ogni gesto, una parola.

La folla colorata, rumorosa risale corso Italia accompagnando il solenne corteo.

E piazza Grande, madre e regina, è pronta ad accogliere e avvolgere il suo popolo. Cavalli, cavalieri, musici, dame, paggetti, balestrieri. I vessilli si stagliano nel cielo dipingendolo di storia. I cori duellano, gli inni si sovrappongono.

Gli aretini si fanno da parte godendosi, orgogliosi, gli sguardi ammaliati, entusiasti di turisti ormai rapiti.

All’ombra della tribuna una mano accarezza il cavallo, la fronte appoggiata sulla folta criniera. Dialoghi muti carichi di passione.

Poi la voce dell’araldo scandisce le parole della disfida. “Non più d’usati onori aure cortesi / spingon, o Castro, il piede a’ tuoi contorni”. La piazza tace, i battiti del cuore sostituiscono i tamburi. Gli occhi fissi sulla lizza, desideri e speranze a sostenere il braccio robusto del cavaliere che afferra la lancia. Da adesso la Giostra torna prepotentemente ad essere di Arezzo e della sua gente.

“Non più parole, omai, vo’ vendicarmi: al campo! Alla battaglia! All’armi! All’armi!”