Allegro, scanzonato, sorridente, vitale: a settembre compie 64 anni e non li dimostra. Continua a girare il mondo per i concerti, a godersi il successo riconquistato dopo il primo boom e una caduta rovinosa, stritolato dai debiti accumulati per il gioco d’azzardo. Ad Up ha raccontato il suo periodo difficile e quello di gloria, la famiglia allargata e il rapporto con Dio, la rinuncia al poker e alle avventure d’amore, fino alla scelta di non tradire le radici e continuare a vivere a Ponticino. Non un’intervista, ma una chiacchierata in libertà con Enzo Ghinazzi, il Pupo della canzone italiana: “Il mio unico desiderio è che tutto resti com’è adesso, il più a lungo possibile”

A settembre compie 64 anni e non glieli daresti mai. Pupo di nome e di fatto, nomen omen dicevano i latini. Allegro, scanzonato, sorridente, vitale, Enzo Ghinazzi è arrivato giovanissimo al top della carriera, ha toccato il cielo ed è rimbalzato giù in mezzo alla polvere. Ne ha mangiata tanta ma non si è arreso, finché la gimkana della vita lo ha sparato in alto un’altra volta, addirittura più su di prima. Quando si accomoda al tavolo per l’intervista con Up, è appena rientrato dalla Russia e sta per partire verso il Kazakistan: Pupo giramondo, rubacuori, cantastorie, purosangue a modo suo. Nato, cresciuto, vissuto e restato a Ponticino, provincia di Arezzo, nonostante le sirene del jetset cantassero da più parti.

Perché?

Perché ho fatto una scelta presuntuosa, da giocatore d’azzardo. Alla fine ho avuto ragione.

Però Milano, Roma…

Macché. Vuoi mettere l’affetto che ho a casa mia? Vado al bar e gioco a carte con gli amici di sempre. Nessuno mi stressa, nessuno mi rompe. Lì sono Enzo, non sono Pupo.

Mai avuta la tentazione di traslocare altrove?

Tante volte. Restare nella mia terra, con le amicizie di una vita, mi è costato fatica, sofferenza. Nel 1983 comprai l’albergo e mezza Ponticino, avevo società ovunque. Chi da piccino mi dava del coglione, in quel periodo era passato a darmi del lei. Ma io lo sapevo che mi aspettavano al varco, avvertivo un alone di sospetto in quel modo di fare.

E infatti…

Un bel giorno mi ritrovai con sei miliardi di debiti, tutte le proprietà pignorate. Quando sei circondato dai guai, vivere dove tutti ti conoscono non è facile. La mattina alle 4 mi mettevo a sedere sulle scale del tribunale in piazza Grande, per vedere se qualcuno veniva a comprare la mia casa all’asta. Sembravo un barbone, ero uno che aveva giocato e perso tutto.

Un uomo resta più segnato dalla ricchezza o dalla povertà?

Io non ho sofferto per la mancanza di soldi. Uno che ha miliardi di debiti vive esattamente come uno che ha i miliardi. Le difficoltà dei rapporti, della vita quotidiana mi hanno segnato e insegnato molto di più.

Però poi il successo è tornato.

E’ tornato più di prima. Tutta la merda che mi era piovuta addosso è diventata oro. La storia della mia vita è come una canzone: adesso sono un refugium peccatorum per tanti, a Ponticino la gente passa dalla chiesa e da casa mia. Vuole consigli, vuole una speranza, vuole anche soldi.

E magari le danno di nuovo del lei.

Ora c’è un rispetto diverso. Io sono caduto e mi sono rialzato, questo conta agli occhi della gente. Quando cominciai a cantare, per i discografici ero un prodotto a scadenza, invece sono durato quarant’anni. Molti miei colleghi sono spariti o sono revival.

Lei crede nel destino?

Mi chiedi se credo in Dio? No, sono ateo. Dio ha un sacco di problemi da risolvere, perché deve pensare a me? Ho fatto anche il chierichetto da bambino, ma che sia tutto scritto non l’ho mai pensato. Anche se non lo direi alle mie figlie: troppi dubbi fanno male.

Gli alti e bassi della vita dipendono solo da noi allora.

Sliding doors, in continuazione. Fossi morto quindici anni fa, sarei stato raccontato come uno che ha dilapidato un patrimonio, un folle, un uomo da dimenticare. Invece oggi sono di nuovo Pupo. Conta la buona sorte, ma l’abilità, il lavoro che fai su te stesso contano di più.

Come nel poker.

Bravo. Chi pensa che il poker sia solo fortuna, sbaglia. Io sono stato uno dei migliori pokeristi d’Italia, Ramazzotti voleva sempre giocare con me e perdeva regolarmente. Poi s’incazzava. E io gli dicevo: non è fortuna, Eros. E non baravo.

Mai barato?

Una volta. Portai via quasi venti milioni a uno che aveva vinto a carte con mio padre mentre era brillo. Qualche tempo dopo glieli ho ridati.

Quant’è che non gioca a carte?

Diversi anni. A un certo punto ho rinunciato al gioco e alle donne, ho smesso dall’oggi al domani come si smette di fumare. Erano due passioni, due vizi. C’è voluta pazienza, patimento, ma poi la rinuncia diventa un trionfo.

Lei tradiva?

Tradivo perché fa parte dell’amore, dell’essere umano. Ho avuto tante donne, sì.

A proposito di donne. Della sua famiglia allargata si sarà scocciato di parlare…

Ma no, l’ultima volta mi hanno dato cinquantamila euro per parlarne.

Nel programma di Barbara D’Urso.

Esatto. Io non ho problemi a raccontare, non ho segreti con Anna, mia moglie, né con Patricia, la mia compagna: viviamo bene e dopo trent’anni, questo è il nostro fiore all’occhiello, la nostra oasi. Chiedimi se consiglierei una roba del genere.

La consiglierebbe?

No, non è facile incontrarsi in tre, è un progetto che si costruisce giorno dopo giorno in mezzo a mille difficoltà. Per fortuna ho la famiglia più equilibrata del mondo, comprese le mie tre figlie.

Perché Barbara D’Urso non ha mai ammesso il vostro flirt?

Non lo so, però ha perso la causa che ne venne fuori. E comunque Barbara è la numero uno nel suo mestiere perché, a mio avviso, è ambigua proprio come la televisione che fa.

Capito. Senta, c’è un luogo di Arezzo che la rimette in pace con il mondo?

Come tutti gli atei, sono attratto dalle chiese. E come tutti gli appassionati del bello, mi emoziona l’arte antica. Vado spesso in Duomo, ma il mio angolo di città è Santa Maria delle Grazie. Davanti all’altare di Andrea della Robbia ci passo le ore.

In cosa si sente aretino, lei che ha girato il mondo?

Mi sento aretino per il sarcasmo, direi anche per il cinismo. Ma io sono soprattutto toscano: tifo Arezzo e Fiorentina, cioè guelfi e ghibellini.

Per qualcuno è impossibile conciliare le due cose.

Ho indagato: la mia famiglia era fiorentina, guelfa, mandata in esilio ad Arezzo, dai ghibellini. Tutte cose che ho studiato dopo la scuola.

Con i libri non andava d’accordo?

Ho fatto un anno di ragioneria e tre di liceo scientifico. Poi ho cominciato a suonare la chitarra e ho smesso.

Per amore della musica.

No, per amore delle donne: la chitarra mi serviva a quello. I piccoli hanno più testosterone degli altri, io non faccio eccezione. In ogni caso da Arezzo ho assorbito anche la scarsa attitudine ai compromessi: non sono mai andato contro la mia natura, non sono comprabile con i soldi, solo con la gentilezza. Per fare i reality mi hanno offerto contratti d’oro, ho sempre detto no.

Non scendere a compromessi è un pregio o un difetto?

Gli aretini sono persone concrete, sono legati al senso pratico della vita. Anche quelli che hanno avuto fortuna, non hanno saputo trasformare la ricchezza economica in benessere, in qualità della vita per la città. Questo è un difetto.

Parla per esperienza personale?

Ti racconto questa. Il sindaco era Fanfani, volevamo portare alcune prime serate della Rai in città. Facemmo una riunione con gli sponsor e la risposta che ci dettero gli imprenditori locali fu: “sì, ma Arezzo cosa mi offre in cambio?”. Non se ne fece nulla, purtroppo il do ut des è religione, senza una merce di scambio non si muove foglia. Magari questi spendono centinaia di migliaia di euro per la macchina nuova ma non ne danno mille per salvare l’Arezzo calcio dal fallimento.

La politica ha fatto quel che poteva, ha fatto poco o ha fatto danni?

Sai che mi sarebbe piaciuto fare il sindaco di Arezzo?

Addirittura.

Sì, ma non mi proporrò mai, anche se qua c’è la parte migliore della mia vita. Per fortuna l’Europa è in crisi culturale, il mercato globale sta portando un grande freddo. Il caldo si trova intorno ai piccoli fuochi delle comunità locali e del senso d’appartenenza. Da noi, come da altre parti, servirebbe una classe politica illuminata che comprendesse cos’ha veramente in mano. Arezzo non può non diventare la città della musica.

Quanti concerti fa in un anno?

Un centinaio, soprattutto in Europa, nord America, Australia. Ho canzoni famosissime in Asia e sconosciute in Italia.

L’orecchio esperto di Pupo cosa suggerisce riguardo la musica di oggi?

Che è mediamente valida, mediamente piacevole e mediamente inutile. Non posso dire che in giro ci sia roba brutta, però all’estero ancora chiamano me, Toto Cutugno, Laura Pausini, Eros Ramazzotti, Andrea Bocelli, i Ricchi e Poveri. Vuol dire che grandi novità non sono arrivate.

Lei che musica amava?

Io sono cresciuto con Battisti, Tenco, Gaber. Oggi ascolto di tutto, anche Ghali, Fedez, J-Ax: hanno testi divertenti, aspetto che qualcuno scriva belle canzoni però.

Un anno fa la copertina di Up era dedicata ai Negrita. Cosa ne pensa?

Non è il mio genere, non li ascolto granché come loro, probabilmente, non ascoltano le mie canzoni. Però sono bravi, sono i miei fratellini, hanno un perché. In copertina avete messo un sacco di amici miei.

Cioè?

Ivana Ciabatti, gran donna. Beppe Angiolini. Ecco, lui e il suo negozio sarebbero perfetti per l’Arezzo che ho in mente io. Un po’ meno per l’Arezzo di oggi.

Poi?

Ho letto l’intervista di Mauro Valenti. Il suo progetto musicale era valido, poteva essere sviluppato, anche se non portava proprio un turismo proprio big spender.

L’anno prossimo lei e Alessandro Cattelan sarete i conduttori di Sanremo. Verità o bugia?

Cazzata. Però è vero che fare il direttore artistico del festival è uno dei miei obiettivi.

Il lavoro di Baglioni in quel ruolo le è piaciuto?

Ci sa fare, è una persona colta, artista di livello, ma non sa scegliere le canzoni.

A lei riuscirebbe?

Al festival servono canzoni d’autore. “Sarà perché ti amo” l’ho scritta a Ponticino, a Milano, a Londra: c’è voluto tempo, va studiato il suono, va studiata la melodia. Le canzoni non nascono per ispirazione, si costruiscono. Anche “Nel blu dipinto di blu” è stata progettata a tavolino.

Il ritorno in Rai è stato una rivincita per lei?

Un po’ sì. Carlo Freccero, direttore di Rai Due, mi ha voluto fortemente. Dopo che mi avevano proposto Ballando con le stelle, Sanremo Young e altre robe assurde, stavolta ho accettato. “Un’estate fa” è un programma nazional popolare che mi è piaciuto.

Sono passate due ore. Dobbiamo salutarci.

Ho parlato come si fa tra amici, scrivilo che è stata una chiacchierata più che un’intervista.

Mi dica solo se ha ancora un traguardo da tagliare per la sua carriera, per la sua vita.

La mia scommessa l’ho fatta a suo tempo. Oggi il mio unico desiderio è che tutto resti com’è adesso, il più a lungo possibile.

Su di lei, nemmeno una nuvola.

Preciso. Sono a posto così.

PALLONE AMARANTO E VIOLA

Pupo cantante, cantautore, paroliere, presentatore, showman, attore, doppiatore. Ma soprattutto Pupo tifoso di calcio. Un amore sbocciato da ragazzino che ha resistito alle intemperie della vita. Arezzo e Fiorentina le sue squadre del cuore, alla faccia del campanile, della rivalità e di Campaldino.

“Mio padre mi portava a Campo di Marte, al vecchio stadio Mancini. Lì ho iniziato a seguire l’Arezzo e non ho smesso più. Anzi, nel 1982 ho scritto Canzone Amaranto, che ancora oggi è l’inno della squadra. L’anno scorso, quando la società stava per scomparire a causa dei debiti, ho raccolto circa cinquantamila euro: un po’ erano soldi miei, un po’ erano soldi di amici. E abbiamo salvato il calcio in città. Peccato non essere riusciti a salire in B, ci riproveremo l’anno prossimo. La Fiorentina è l’altra mia passione. Mi spiace che i Della Valle abbiano lasciato in mezzo alle polemiche, spero che Commisso adesso possa lavorare sereno. Gli avevo suggerito di prendere Gattuso come allenatore: sono calabresi, sarebbero andati d’accordo”.

Non solo spettatore però, Pupo il calcio l’ha giocato con la Nazionale Cantanti, di cui è stato uno dei fondatori e presidente dal 2007 al 2010. Poi, tre anni fa, l’ultima partita a Jesi: “Sono andato verso il pallone, ho avuto un capogiro e ho calciato l’aria. Una figuraccia, la gente si è messa a ridere pensando l’avessi fatto apposta. Invece da quel giorno non ho rimesso piede in campo. Ruggeri se non gioca sta male, io sono stato male per giocare. Adesso il calcio solo in tivù”.

ZAR DI RUSSIA

Qualche anno fa si mise davanti a una telecamera e registrò un messaggio di auguri per il compleanno di Vladimir Putin, accolto con grande piacere dal destinatario. Pupo in Russia è una star di primo livello, i suoi concerti sono bagni di folla e la sua popolarità non conosce crisi. Ma anche nelle repubbliche dell’ex Unione Sovietica va alla grande: esistono foto e video che lo immortalano mentre si esibisce in Kazakistan, Uzbekistan, Kirghizistan. Perfino in Mongolia è andato a cantare, flirtando con il pubblico come non mai. Pupo è apprezzato dagli anni’80, quando “Gelato al cioccolato