Luca Mazzi, giornalista pubblicista e dirigente pubblico, ha dato alle stampe il romanzo «Il vestito del massone», attraversando la storia della nostra città: dagli anni del boom economico a quelli del riflusso. Una lettura originale e verosimile, dalla crescita all’impasse di una comunità con alcune zone d’ombra

La vita prende percorsi inaspettati». Lo afferma con naturalezza Luca Mazzi, aretino DOCG, classe ’75, attualmente responsabile dei servizi finanziari e vice segretario per i comuni di Pienza, Sinalunga e Torrita di Siena. Una laurea in giurisprudenza, una triennale in lettere e beni culturali, diploma scientifico sognando il classico: «Sono stato spinto dai miei genitori verso studi più pragmatici. Fare giurisprudenza, all’epoca di tangentopoli per giunta, mi ha lasciato un rispetto profondo per i diritti fondamentali: dalla scuola alla sanità, allo stato sociale. Diciamo che la prima laurea l’ho presa più con cattiveria agonistica, la seconda, da ‘vecchio’, con passione ed è stato molto più facile e soddisfacente».
La prima gli ha dato il lavoro, la seconda la completezza: «Da giovanissimo ho iniziato a fare il giornalista con Arezzo TV, da Nedo Settimelli, Radio Arezzo TV, che nel tempo diventò Radio Flash, e La Nazione. Ma quando sono stato assunto a tempo indeterminato al Comune di Foiano ho dovuto abbandonare, anche se poi nei vari enti in cui ho lavorato, oltre ai bilanci, mi sono occupato saltuariamente della comunicazione».

Libera professione e pubblica amministrazione: «La vulgata ci vuole tutti fannulloni, ma molti non si rendono conto di quanti piccoli ‘eroi’ quotidiani si nascondano negli enti pubblici, soprattutto nei comuni meno grandi, che da soli mandano avanti la macchina amministrativa». Dal giornalismo alla scrittura: «Sono due modi di comunicare diversi. Il giornalista ha delle responsabilità, deve rispondere a una deontologia professionale. Lo scrittore ha più libertà e può spaziare dalla storia alla fantasia, dal verosimile alla leggenda, ed è un po’ quello che ho fatto io con i miei tre libri: “I vescovi guerrieri in Toscana”, il primo, è un libro storico; “Donne di Toscana” racconta, invece, quindici donne che hanno segnato il loro tempo, dal Medioevo all’Ottocento, nella nostra regione, oscillando tra storia e leggenda, appunto; l’ultimo, “Il vestito del massone”, racconta la storia di Arezzo, dal boom economico agli anni Ottanta con sullo sfondo quella dell’Italia di allora. Intrecciando il verosimile di una città che, grazie a imprenditori sagaci e illuminati, ha saputo cavalcare la grande crescita, prima del tessile poi dell’oro, con la storia criminale di un ‘ragioniere’, facilmente riconducibile a un personaggio che ha lasciato un’eredità negativa».
Luca Mazzi, sposato con Federica e padre di Niccolò (12 anni) e Matteo (10), ama profondamente Arezzo: «Sono follemente innamorato della mia città e soffro un po’ il fatto di non poterci lavorare, per dare il mio contributo. In tutti i libri che ho scritto c’è Arezzo ed è stata mia moglie a spronarmi a scrivere il mio primo romanzo. Noi aretini? Siamo sicuramente dei grandi lavoratori, questo è il nostro pregio più grande, ma siamo chiusi. Viviamo in una città che non è valorizzata come meriterebbe, potrei dire che Arezzo è come una bellissima donna che non si lascia mai andare».

Nel libro s’intrecciano l’anima lavoratrice e quella criminale, con la famiglia protagonista che alla fine si salva e si riscatta dal rapporto con il ‘ragioniere’: «Ci sono stati personaggi negativi che hanno declinato Arezzo fuori dalle mura cittadine, mettendo in secondo piano tutto il bello e il buono fatto da vari imprenditori ai quali, secondo me, non è stato dato il giusto tributo. Le industrie aretine non solo ci hanno trasformato in città da paesone agricolo quale eravamo, ma hanno contribuito pure all’emancipazione femminile; basti pensare alle 5mila operaie che lavoravano alla Lebole nei tempi d’oro».
I Lebole, Gori e Zucchi, Bertocci una volta, i Bertelli oggi, secondo Luca, dovrebbero essere il nostro fiore all’occhiello, il nostro biglietto da visita, più che altri personaggi legati alla storia nera dell’Italia e non solo: «Il libro è dedicato a mia moglie e a tutte le donne della mia vita, dalla nonna alla mamma. Né dietro né davanti, ma sempre al fianco. Il romanzo, per tornare al focus, parla agli aretini degli aretini, di come siamo, di come ci siamo risollevati. Perché, in fondo, Arezzo ha vissuto secoli di buio dopo essere stata soggiogata da Firenze e solo negli anni Sessanta del Novecento ha rivisto la luce, grazie ad alcuni capitani d’impresa». Quindi non resta che leggere «Il vestito del massone».

Con Arezzo nel cuore.