Imprenditore, giramondo, artista, talent scout. Ma soprattutto cacciatore di tendenze. Ritratto di un uomo che ha investito su se stesso e sulle sue intuizioni, fino ad arrivare al successo senza mai tradire le origini

Giuseppe Angiolini fa parte del club esclusivo dei visionari. Un cerchio magico dove in pochissimi riescono a entrare: o hai qualcosa in più oppure resti fuori. La selezione è naturale e senza sconti, ma una volta superata la barriera, ti ritrovi sulla strada giusta. Dritta e in discesa.

Beppe di Sugar, come lo chiamano gli amici, è tante cose: imprenditore, giramondo, artista, talent scout. Soprattutto è un cacciatore di tendenze. Lo è sempre stato. Oggi è facile vederlo a suo agio nei panni dell’uomo affermato e molto glamour, che dall’alto di Corso Italia, dove si trovano le sue elegantissime botteghe della moda, domina la città. E però non è sempre stato così. Anche lui ha dovuto superare gli ostacoli della consuetudine e della normalità, fino a deviare dal percorso standard della vita, già tracciato e ben più tranquillizzante.

Perché immaginarsi un domani diverso e centrare l’obiettivo, è complicato ovunque. Ad Arezzo, tra i lacci e i lacciuoli della provincia, ancora di più. Giuseppe Angiolini ce l’ha fatta e non è nemmeno scappato altrove, magari in qualche paese d’avanguardia dove gli avrebbero steso un tappeto rosso sotto i piedi. E’ rimasto qua, fedele alle radici, senza inseguire il successo in giro per i continenti, ma portando il successo a curiosare tra piazza Grande e il Canto de’ Bacci. Un caso più unico che raro.

“Il primo passo è stato lasciare gli studi al terzo anno di ragioneria – dice Angiolini. Ero bravo, avevo ottimi voti. Ero anche cattivello, i compiti ai miei compagni non li passavo mai. Facevo casa, scuola e chiesa. Abitavo allo Scopetone, le imprese della zona mi corteggiavano per il dopo diploma, ma io avevo fretta di vivere e me ne andai a lavorare nell’azienda di Giuseppe Grandi. Importavamo grano per trattarlo e farci le farine. Iniziai ad occuparmi del commerciale, mi piaceva. Tanti piccoli segreti li ho imparati in quel periodo”.

E poi? Poi comincia il bello, perché la vita, per l’appunto, bisogna trascinarla sul lato migliore, plasmarla, modellarla.

“Sono i primi anni ‘80. Conosco una ragazza che ha la passione per la moda, come me. Ci viene l’idea, ne parliamo, decidiamo di aprire una boutique ad Arezzo, in Corso Italia 43. In negozio ci sarebbe stata lei. I miei la prendono male, producevano olio e vino, certe scelte proprio non le capivano. Ma io sentivo dentro che stavo facendo la cosa giusta. E ci buttiamo nell’avventura grazie a un piccolo prestito della banca. Furono due anni tremendi, complicati. Tant’è che arrivai a un bivio: lasciare il mio impiego o chiudere il negozio. Ci pensai su, poi salutai Grandi e lasciai l’impiego”.

Difficoltà e incertezze: come ogni storia vera, anche qui c’è da soffrire. Gli inizi, a tutte le latitudini, sono sempre pieni di affanni.

“Mi licenziai, in casa fu una guerra. Però non tornai indietro. Anzi, nel frattempo avevo preso il diploma da privatista e mi ero iscritto all’università, facoltà di lingue. Ero poco più che maggiorenne, feci un restyling al negozio e tutto cambiò. Ho imparato in tanti anni di attività che sono importanti le alchimie: la differenza la fa il modo di comunicare, l’originalità. Naturalezza e spontaneità sono vincenti sempre. I miei genitori alla fine mi dettero una mano, la situazione si ribaltò in fretta. Ricordo che il primo stipendio lo spesi tutto in abbigliamento: in quel periodo andavo spesso a Firenze e compravo vestiti di tendenza. Poi, qualche anno dopo, mi comprai anche una Mini Minor e una Lancia Fulvia blu. Avevo già uno stile mio che mi faceva sentire libero”.

E’ in quei giorni che Sugar diventa Sugar, sinonimo di eleganza, innovazione, ricerca. “Sugar mi piace perché contiene le mie iniziali e quelle di Arezzo, è una parola che mi definisce al cento per cento. La gente apprezzava, cominciarono ad arrivare clienti da fuori città, poi anche dall’estero. Un processo di crescita lento, regolare, molto appagante. Le vendite andavano bene ma non era il dato più significativo: io sentivo di essere al posto giusto soprattutto grazie ai complimenti di chi entrava nel negozio e al passaparola”.

E siamo a oggi. Il mondo si è trasformato, è cambiata la moda, è cambiato profondamente il rapporto delle persone con il vestire e quello dei grandi marchi con le persone. Ed è cambiato il ruolo di chi sta in mezzo, come Angiolini.

“I giovani sono più belli, più curati. Hanno più conoscenze riguardo l’abbigliamento, il look se lo curano da soli e sono eleganti in modo più semplice. Quel che conta è la personalità: deve averla il mio negozio, deve averla chi compra. Per anni ho scelto personalmente, uno a uno, i capi che vendevo. Adesso al mio fianco ho uno staff di persone che vivono la strada con la mente aperta: parliamo, ci confrontiamo, selezioniamo. Il mio orgoglio più grande è aver portato la creatività, l’immagine ad Arezzo. Questa è una città sorniona che ha paura di farsi notare troppo. Anch’io ero così, poi sono cambiato. Per questo da qui non mi muovo’’.

 

Sugar Last Floor

Giuseppe Angiolini coordina uno staff di 35 persone che si occupano della vendita diretta, del marketing, della comunicazione e dell’e-commerce (Sugar.it). Presidente onorario di Camera Italiana Buyer Moda, è direttore artistico di Oro Arezzo ed è stato presidente del comitato tecnico per la Fiera Antiquaria. Svolge inoltre attività di consulenza per molti brand internazionali di moda. Entro la fine del 2017 ha in programma di trasferire le boutiques uomo, donna e giovani a Palazzo Lambardi, in Corso Italia, uno spazio open in cui verranno mixati arte, moda e design: oltre ai negozi, fanno parte del progetto un bar e un ostello con quindici camere, molto curato ma dai prezzi accessibili (Sugar Last Floor).