Emanuele Giaccherini è uno di noi. È nato a Talla, ha frequentato la stessa piscina, dove molti di noi passavano l’estate, gli stessi campi da calcio e alcuni di voi ci avranno pure incrociato gli scarpini, perdendo il duello. Diversamente da molti di noi, che sognavamo di giocare in serie A e in Nazionale («De cebollita soñaba jugar un mundial / Y consagrarse en primera», come cantava Maradona nella canzone “La mano de Dios”), lui ce l’ha fatta e ce l’ha fatta nonostante tutto. Nonostante l’aurea da provinciale, nonostante il fisico meno possente di altri, nonostante la sfiducia che ha incontrato lungo la sua strada. Ce l’ha fatta con il talento e con la testa, ce l’ha fatta perché chi lo ama ha creduto in lui, ce l’ha fatta convincendo i più scettici e grazie anche agli allenatori che l’hanno formato, quelli che ha ricordato in questa intervista, senza dimenticarne alcuno. Chi scrive ha una passione per i calciatori come Giaccherini, per chi ce la fa, un centimetro alla volta, a risalire la china, quando tutto intorno sembra dirti il contrario. Per quelli che hanno fatto la gavetta e non hanno mai trovato nemmeno un metro di strada spianato. In questa intervista non troverete scoop o dichiarazioni scabrose, non è il nostro stile, non è lo stile di Emanuele Giaccherini. Troverete, invece, la sua intelligenza, la sua umanità, la sua leggerezza e la capacità, mai scontata per un calciatore, di sapere leggere i momenti della vita e della carriera con estrema oggettività. Il resto lo conoscete già. È cresciuto nei settori giovanili di Rassina, Arezzo, Bibbiena e Cesena. Ha vestito, fino ad ora, le maglie di Forlì, Bellaria Igea Marina, Pavia, Cesena, Juventus, Sunderland, Bologna, Napoli e Chievo Verona. Ha giocato con la Nazionale italiana (29 presenze e 4 reti) due Europei (2012 e 2016) e una Confederations Cup, sempre da protagonista. Con la Juventus (le foto in maglia bianconera sono di Maurizio Borsari – AIC) ha vinto due scudetti e una Supercoppa Italiana. In carriera ha giocato più di 400 partite e segnato più di 70 reti, alcune straordinariamente belle e decisive. Il resto? Lo trovate nell’intervista.

Emanuele Giaccherini (Juventus)
Emanuele Giaccherini, Juventus (foto Maurizio Borsari – AIC)

Com’è giocare senza pubblico?
Una sensazione strana. Il pubblico è il cinquanta per cento del calcio e giocare senza è come un allenamento, come un’amichevole estiva. Manca il calore e il sostegno dei tifosi e questo incide sulle prestazioni sportive, c’è meno pressione e quindi vengono meno l’ansia e l’adrenalina. Quando guardo le partite in televisione dopo venti minuti cambio canale, non mi divertono.

Crede che in questo ultimo anno si potesse fare diversamente riuscendo a portare i tifosi allo stadio? Oppure no?
Partiamo da un assunto fondamentale. C’è gente che muore e ci sono tanti contagiati, quindi come sono chiuse tante attività credo che, nonostante sia brutto da dire, anche gli stadi possano restare chiusi al pubblico. Detto questo, in uno stadio c’è tanto spazio all’aperto e rispettando le misure di sicurezza anti-Covid 10.000 tifosi in un impianto da 40.000 ci sarebbero potuti stare, ci potevano provare, soprattutto per coloro che avevano l’abbonamento.

Com’è vivere la squadra e lo spogliatoio in questo periodo, ha paura di contagiarsi?
Tra ottobre e novembre al Chievo abbiamo avuta una decina di calciatori contagiati, uno dietro l’altro. Paura? No, perché noi siamo super controllati, con un tampone ogni tre giorni, siamo giovani e sportivi, anche se ultimamente ho letto di alcuni ragazzi che sono stati molto male. Abbiamo mille attenzioni, stiamo con la mascherina nello spogliatoio eppure l’abbiamo preso.

E con la famiglia?
Il timore è proprio quello di portare il Coronavirus ai genitori e ai nonni. In questo ultimo anno i miei li ho visti poco per questo, per tutelarli.

Cos’era il calcio per Emanuele ragazzo?
Sogno, passione e divertimento. Mi piaceva andare ad allenarmi a Bibbiena dopo la scuola e quando finivo tornavo a Talla e giocavo con gli amici, più calcio che libri. Poi, piano piano, è diventato il mio lavoro.

Emanuele Giaccherini, Cesena
Emanuele Giaccherini, Cesena (Gianni Bellini – Collector of Football Albums and Stickers)

Qual era la cosa che le piaceva di più?
La palla, appena la vedevo mi accendevo. A prescindere dagli amici, nel senso che continuavo a giocare da solo, bastava avere il pallone tra i piedi. Poi col tempo si cresce, diventa una professione e cerchi di migliorarti, altrimenti non sarei arrivato dove sono arrivato. Le varianti per un calciatore sono tante, sicuramente la determinazione e la fortuna sono state importanti.

Una delle cose che si racconta sempre di lei è l’infortunio che da giovane le ha provocato l’asportazione della milza. Come ricorda quel momento?
Lo ricordo benissimo. Giocavamo a Sesto Fiorentino contro la Sestese, che era prima in classifica insieme con il mio Bibbiena. Dopo appena 5 minuti mi scontro con il portiere avversario, un impatto forte come tante altre volte. Rientro in campo e a un certo punto mi sento come svenire, allora ho capito che era accaduto qualcosa ma non sapevo cosa. Pure il dottore che mi visitò non seppe dirmi granché, non avendo gli strumenti adatti. Sembrava una costola rotta, ma durante il viaggio di ritorno in pullman sentivo dolori lancinanti, così mia madre, che era venuta con me, decise di portarmi all’ospedale di Bibbiena, dove mi visitarono, videro che la milza era rotta e mi operarono subito.

Rassina, Arezzo, Bibbiena e Cesena. Qual è stato l’ambiente e l’allenatore che l’hanno formata di più nei settori giovanili?
Tutti mi hanno lasciato qualcosa. Da mister Grifoni a Rassina, che a 9 anni mi faceva giocare con quelli più grandi, a Mauro Pasqualini ad Arezzo con cui ho passato un anno bello, giocando sempre con i più grandi. A Bibbiena ho avuto Aldo Ricci, Giovanissimi regionali, e Alessandro Casini, Allievi regionali: con entrambi sono cresciuto molto e mi sono divertito tantissimo. Infine, Pino Lorenzo con la Beretti e Piraccini con la Primavera del Cesena hanno rappresentato il passaggio dai dilettanti ai professionisti. Ed è tutto indimenticabile.

Forlì, Bellaria Igea Marina, Pavia e quell’idea di mollare tutto e fare l’operaio meccanico, come nel caso dell’infortunio alla milza, un’altra sliding door. Cosa o chi l’ha convinta a continuare e a insistere con il calcio?
Dopo la Primavera ho passato quattro anni in C2, sempre in prestito dal Cesena. I primi tre difficili, il quarto, invece, a Pavia mi cambiarono ruolo, da seconda punta a esterno sinistro, ho segnato 10 gol e fatto un grandissimo campionato. Torno al Cesena retrocesso in C1 e penso di avere spazio ma invece mi trovo fuori rosa, avevo 23 anni. Nel ritiro di Castrocaro Terme telefono a mio padre e gli dico che quasi quasi mollo, che sono sette anni che sono fuori casa, che posso divertirmi anche in Promozione e che posso ritirare fuori dal cassetto il diploma di perito meccanico; lui mi rispose che ero giovane e che potevo provare a continuare. Dopo pochi giorni un mio compagno di squadra dovette abbandonare il ritiro per un lutto familiare. Bisoli aveva bisogno di un esterno d’attacco per un’amichevole e così mi buttò dentro: feci tre gol, giocai benissimo e il tecnico si accorse di me. Da allora non mi ha più tolto.

Cesena è un luogo caro ai casentinesi, con lo sguardo sempre rivolto all’Adriatico. È così pure per lei?
A Cesena mi sono trovato bene, i romagnoli sono molto cordiali e ti fanno sentire subito a casa, è stato facile ambientarmi, anche con la scuola, che frequentavo a Savignano sul Rubicone. Certo avevo nostalgia di amici e famiglia, ma l’ho superata bene grazie a un ambiente ideale, senza dimenticare che la città è molto bella.

Emanuele Giaccherini, Juventus
Emanuele Giaccherini, Juventus (Gianni Bellini – Collector of Football Albums and Stickers)

Dalla Riviera Romagnola a Torino, sponda Juventus. Un sogno che si avvera o una responsabilità che pesa?
Un sogno. A 23-24 anni ero ancora in C e non avrei mai pensato di arrivare in un top club. Io la serie A me la sono guadagnata sul campo e quando Conte mi ha chiamato alla Juventus, la squadra più forte d’Italia insieme con Inter e Milan, volevo dimostrare che ci potevo stare. All’inizio ero intimidito, avevo davanti giocatori come Buffon, Chiellini e Del Piero che mettevano un po’ di soggezione. Poi con tanto lavoro, determinazione e sacrificio sono riuscito a entrare nella loro mentalità e a dimostrare che meritavo la maglia bianconera.

Che allenatore è stato Antonio Conte per lei?
È stato l’allenatore più importante della mia carriera, insieme con Bisoli. Questo mi ha lanciato nel professionismo, Conte mi ha portato alla Juventus, facendomi crescere come uomo e come calciatore, senza dimenticare l’esperienza con la Nazionale all’Europeo del 2016.

La frase su Giaccherinho le ha fatto piacere o l’ha infastidita?
Quella frase la disse dopo un Juventus-Bologna di Coppa Italia, partita nella quale segnai un grandissimo gol dopo avere saltato 3-4 avversari. Ero un giocatore che veniva dalla provincia e non tutti l’avevano digerito, così Conte volle togliersi un sassolino dalla scarpa per mettere le cose in chiaro con tifosi e ambiente. Lui mi aveva voluto fortemente a Torino e volle sottolineare che se quelle cose le avesse fatte un calciatore straniero ne avrebbero parlato per giorni. Io capì subito quello che voleva dire e a chi lo voleva dire: a tutti quelli che dubitavano di me.

Qual è stato il momento più bello dei due anni bianconeri?
Il primo scudetto. La Juve veniva da due settimi posti e c’era molta negatività intorno alla squadra, un po’ come il Milan di questi ultimi anni. Gli avversari percepivano questa debolezza, poi con Conte vincemmo uno scudetto inaspettato e bellissimo. Anche il gol al Catania nel secondo è stato un momento bellissimo, insieme alla vittoria in Supercoppa Italiana e ai quarti di finale di Champions contro il Bayern Monaco, che poi vinse la Champions.

E il compagno di squadra con cui ha legato di più?
Più di tutti con Claudio Marchisio, compagno di stanza. Mi sento ancora con lui e con Giorgio Chiellini.

Emanuele Giaccherini, Sunderland
Emanuele Giaccherini, Sunderland (Gianni Bellini – Collector of Football Albums and Stickers)

Molti ex raccontano del peso di vestire la maglia della Juventus e della professionalità e dell’organizzazione della società bianconera, lei che ambiente ha trovato?
Tutto vero. La maglia pesa perché la Juventus è nata per vincere e devi dare il cento per cento, non è consentito sbagliare, poi è chiaro che nel calcio ci sta di perdere e arrivare secondi. Alla Juve ho trovato un ambiente sano e una società forte, che è alla base di tutte le vittorie.

Quanto è forte l’ossessione per la vittoria?
Si respira continuamente e la devi sentire per entraci con la testa.

Le è dispiaciuto andare via da Torino?
Sì, perché stavo benissimo, sia con i compagni che in città, anche mia moglie. Poi si sono incrociati due fattori, la voglia della Juventus di fare una plusvalenza e la mia di misurarmi con la Premier League. Sunderland non era solo il contratto della vita, mi avevano messo al centro del progetto di rinascita, mi sentivo importante. Ad Antonio Conte dispiacque tantissimo, però questo è il calcio, la vita e va bene così.

Sunderland non è stata una scelta banale, che differenze ha trovato tra serie A e Premier League?
Gli arbitri fischiano poco quindi il gioco è molto intenso, fisico e veloce, ma più scarso a livello tattico, privilegiando i duelli individuali. Gli stadi pieni e l’organizzazione sono due cose che mi sono piaciute molto e in Italia, al momento, siamo indietro rispetto all’Inghilterra.

Come ha vissuto due anni in Inghilterra, un’Inghilterra legata alla tradizione operaia lontana dalle città mainstream?
Ho cercato di vivere quell’esperienza nella sua completezza, pure fuori dal campo. Ti devi ambientare con la lingua, il cibo, la cultura, le tradizioni. È diverso il clima, sono diversi gli orari, quindi ho cercato di immagazzinare tutto quello che Sunderland e l’Inghilterra potevano darmi.

Emanuele Giaccherini, Italia
Emanuele Giaccherini, Italia (Gianni Bellini – Collector of Football Albums and Stickers)

Meglio i tifosi del Sunderland o quelli della Juventus?
Diversi. Sunderland è un po’ come Napoli, vive di calcio. Il Nord dell’Inghilterra è come il Sud dell’Italia. Città meno ricche dove i tifosi piuttosto non mangiano ma vanno a vedere la partita, trasmettendo ai giocatori un calore e una passione totalizzanti. A Torino i tifosi sono stati straordinari e ovunque andassimo a giocare lo stadio era pieno, pieno di tifosi bianconeri.

Centrocampista, seconda punta, trequartista, qual è il ruolo che sente più suo?
Esterno sinistro o mezzala. Con Conte facevo sia la fase offensiva che quella difensiva, diciamo che ero un tuttocampista. Prandelli, in Nazionale, mi preferiva mezzala. I ruoli nei quali ho reso meglio.

Questa ecletticità è stata più un apriporta o un bastone tra le ruote?
Credo che mi abbia agevolato. Agli allenatori piacciono i giocatori eclettici che possono ricoprire più ruoli nella stessa stagione o, meglio, nella stessa partita.

Con la maglia bianconera era arrivata anche quella della Nazionale, che effetto le ha fatto?
Quello è il sogno che ogni bambino cova giocando a pallone. Tutti sogniamo di vestirla. È toccato a me che vengo da Talla, un paese di 600 abitanti, per rappresentare una nazione di 60 milioni. Ero uno dei ventitré, in due Europei e una Confederations Cup, ho lottato per quella maglia con l’orgoglio di rappresentare il mio Paese, una gioia a una responsabilità immense.

Con Prandelli un secondo posto europeo nel 2012, con Conte i quarti di finale del 2016. Qual è stata la sconfitta più amara?
Sicuramente quella contro la Germania ai rigori. Con Prandelli raggiungemmo la finale, ma fu una partita senza storia, finita già nel primo tempo. L’avventura con Conte è stata diversa, dicevano che eravamo scarsi, ma il Ct lavorò sul gruppo e sul nostro spirito di sacrificio, contro tutto e tutti. Battemmo il Belgio e la Spagna negli ottavi, dimostrando che il lavoro di squadra è spesso più forte di un insieme di calciatori talentuosi.

Emanuele Giaccherini, Bologna
Emanuele Giaccherini, Bologna (Gianni Bellini – Collector of Football Albums and Stickers)

Le è dispiaciuto non disputare il Mondiale in Brasile?
È uno dei miei rammarichi più grandi. Avevo fatto l’Europeo del 2012 e la Confederations del 2013 da protagonista, pensavo di essere parte di quel progetto e non so cosa sia successo. È stata una grande delusione non avere fatto parte di quella spedizione, avrei voluto dire di avere giocato pure il Mondiale, invece è andata diversamente.

Che differenza c’era tra le due nazionali?
Quella di Prandelli aveva giocatori come Cassano e Balotelli, c’era sicuramente più talento e credo che il Ct abbia fatto un buon lavoro. Con Conte c’era meno qualità, ma un gruppo, un amalgama e uno spogliatoio unici.

Si può dire che con Conte ha avuto un rapporto speciale?
Mi stimava come giocatore e io come allenatore, dal punto di vista umano mi ha fatto sempre sentire importante, anche quando davanti avevo Marchisio, Pogba e Vidal. Così quando mi chiamava davo il 110 per cento perché sapevo che credeva in me.

Una volta tornato in Italia ecco il Bologna e un finale di stagione eccezionale, con Donadoni in panchina. Lo gioia di una salvezza può valere quella per uno scudetto?
A Bologna credo di avere giocato la stagione migliore della mia carriera e abbiamo raggiunto la salvezza. La differenza è che quando vinci uno scudetto resti nella storia.

A Napoli, invece, ha incontrato Maurizio Sarri, che tecnico ha conosciuto e che ambiente ha trovato?
Quando mi proposero Napoli accettai subito. L’ambiente è particolare, i tifosi sono fantastici e amano la squadra alla follia, volevo giocare al San Paolo perché al solo pensiero mi veniva la pelle d’oca. Il rammarico è che mi è stata data poca possibilità di dimostrare le mie qualità e di dare il mio contributo alla causa partenopea. Sarri è un grandissimo allenatore che prepara molto bene la squadra, ma secondo me ha dei limiti nella gestione del gruppo e dei singoli calciatori.

Emanuele Giaccherini, Napoli
Emanuele Giaccherini, Napoli (Gianni Bellini – Collector of Football Albums and Stickers)

Secondo lei il Napoli era maturo per vincere lo scudetto?
Poteva esserlo, ma il problema è la mentalità. Alla Juventus stai a testa bassa finché non c’è la matematica, centimetro dopo centimetro. Quando il Napoli vinse a Torino contro la Juventus poi andò a perdere a Firenze perché in quella settimana in città avevano festeggiato. Quel calore e quell’ambiente ti carica oltre i tuoi limiti ma sa anche sgonfiarti a ogni passo falso.

Nel 2018 il Chievo Verona, come si trova?
Una scelta di vita, visto cha a Napoli giocavo poco. Volevo giocare e dimostrare ancora una volta le mie qualità. Il primo anno è stato bellissimo, con una salvezza all’ultima giornata, gli altri più complicati. Il Chievo è una società ideale per un calciatore, Verona una città stupenda. Adesso dobbiamo stringere i denti per raggiungere i play off.

Dopo quasi dieci anni ha ritrovato la serie B, che campionato è diventato?
Un campionato difficile, come sempre, intenso con giovani interessanti e 5-6 squadre molto forti. È un torneo molto combattuto nel quale puoi scendere dal secondo all’ottavo posto in sole due partite.

Talla è un piccolo ma delizioso paese del Casentino, cosa è stato per lei e per la sua famiglia?
È il paese dove sono cresciuto e dove vivrò. Lì ho gli amici, la famiglia e un pezzo del mio cuore. Quando smetterò di giocare Talla sarà nuovamente casa mia.

Che rapporto ha con i suoi genitori?
La famiglia è tutto. Ti sostiene nei momenti difficili e insieme abbiamo vissuto emozioni incredibili. È la cosa più importante per un uomo.

Emanuele Giaccherini, Chievo Verona
Emanuele Giaccherini, Chievo Verona (Gianni Bellini – Collector of Football Albums and Stickers)

E con i paesani?
Mi stimano e sono orgogliosi di me. Mi hanno visto crescere e diventare quello che sono oggi. A Talla ho gli amici della vita e ogni volta che torno è bellissimo.

È vero che suo fratello è stato con lei a Sunderland? Che vita avete fatto insieme?
Volevo condividere con lui quell’esperienza. È venuto con la moglie e il figlio. Loro la ricorderanno tutta la vita e io ho avuto l’appoggio necessario per affrontare quegli anni.

Sua moglie Dania e tre figli, quanto sono importanti per lei e quanto lo sono per un calciatore professionista?
Siamo sposati da undici anni e abbiamo fatto un percorso. Oggi ci sono anche Giuliamaria, Caterina ed Edoardo. A Sunderland Giuliamaria era ancora piccola, ha frequentato una scuola inglese, non era facile viaggiare con una bambina, ma è stato molto importante per noi vivere quei momenti insieme.

Emanuele Giaccherini ha 35 anni, sarà questa la sua ultima stagione?
Può darsi, ma ancora non ho deciso.

Ha già pensato come dare l’addio al calcio?
In questa situazione così complessa per tutti è difficile dirlo, sicuramente scriverò una lettera e la pubblicherò nel mio profilo Instagram.

Emanuele Giaccherini e Francesco Caremani, Talla (AR) luglio 2016
Emanuele Giaccherini e Francesco Caremani, Talla (AR) luglio 2016

Chi si sente di ringraziare per essere arrivato così in alto?
Sicuramente mio padre, poi Bisoli, Conte, mia moglie, mio fratello e gli amici, insomma tutte le persone che mi sono state vicine. Ce n’è una, però, che merita una citazione a parte, mio nonno Renato che non c’è più. A Bibbiena e a Cesena mi seguiva sempre e vedeva ogni mia partita. Sono sicuro che in tutto quello che di bello mi è accaduto lui, da lassù, ci ha messo la mano.

È contento della carriera fatta?
Orgogliosissimo, perché sono riuscito a mettere in mostra le mie qualità nonostante i miei parametri fisici. Nel mio percorso è stata fondamentale la testa ed è quello che vorrei dire ai ragazzi che dubitano di sé stessi: usate la testa e potrete arrivare dove non avreste mai pensato.

Rimpianti?
Non avere giocato il Mondiale e i due Europei persi.

Cosa rifarebbe?
Rifarei tutto. Ho fatto la gavetta, partendo dalla C2, arrivando in serie A e poi in Nazionale. Non ho mai dimenticato da dove sono partito. Sa cosa penso? Penso che ci sono giocatori che nascono in serie A e muoiono, sportivamente parlando, in C e altri che nascono in C e muoiono in A.

Cosa augura a sé stesso?
Di rimanere sereno pure dopo e dedicare del tempo di qualità alla mia famiglia, poi con calma deciderò cosa fare da grande.

Emanuele Giaccherini, Juventus
Emanuele Giaccherini, Juventus (foto Maurizio Borsari – AIC)

Il calcio italiano continua a dare il peggio di sé nelle coppe europee? Colpa dei troppi Giaccherinho e pochi Giaccherini?
Il calcio italiano è sceso di livello, negli altri campionati c’è più qualità. Però l’Italia, dopo il 2018, sta facendo un percorso con giovani interessanti e credo che ci siano le basi per vincere l’Europeo, anche se non partiamo favoriti.

Le piace la serie A quest’anno?
La serie A è sempre bellissima e quest’anno vedremo una squadra diversa vincere il campionato. Come dicevo prima, però, non riesco a guardare le partite senza pubblico.

Per quale squadra fa il tifo?
Sono tifoso dell’Inter, siamo una famiglia di interisti. Poi, però, quando giochi tutto assume una prospettiva diversa.

Cosa è oggi il calcio per Emanuele Giaccherini?
Ancora passione e divertimento. Quando metto gli scarpini ed entro in campo sono ancora come il bambino di 7-8 anni. Dopo qualche decennio sento ancora la voglia di giocare, di inseguire la palla, saltare l’avversario e fare gol. Con la stessa gioia e gli stessi brividi di quando ho iniziato.