Dalla piccola bottega del falegname Giuseppe, che nel 1949 si mise in proprio e sfidò il destino, alla moderna azienda di oggi, dove Leonardo e Sandra rappresentano la terza generazione al comando. Un elegante showroom a Pieve al Toppo, il fatturato in crescita, le nuove tecnologie e un mercato sempre più ampio: alla scoperta di una solida eccellenza del nostro territorio, sintesi perfetta di artigianato e imprenditoria

Questa è la storia di uno di noi. Non era nato in via Gluck ma non importa. Si chiamava Giuseppe Fabbroni e faceva il falegname: un bel giorno decise di mettersi in proprio, sfidando il destino, stracciando il contratto da dipendente e tutte le garanzie collegate. Aretino di Battifolle, creò il suo laboratorio di pochi metri quadrati e ci infilò dentro tenacia, amore per il lavoro, passione. Era il 1949, la guerra era finita da poco e nell’animo di tanta gente, compreso lui, convivevano l’ansia di dover ricostruire l’Italia, il timore di una vita incerta, mescolati con la fiducia in un domani migliore e nella possibilità di assecondare i propri sogni. Nel 2019 quella piccola bottega è diventata un’azienda moderna ed efficiente. Si chiama “Fabbroni serramenti e arredi”, a primavera ha festeggiato il settantesimo anno di attività: un traguardo denso di significati che Giuseppe, se fosse stato ancora tra noi, avrebbe celebrato sollevando in aria un calice di bollicine e orgoglio, da bere in un sorso per rimettersi subito all’opera. Era un uomo vecchio stampo, con un fortissimo senso del dovere come (quasi) tutti quelli della sua generazione. Era anche un padre premuroso e quadrato: ai figli Carlo e Roberto ha saputo trasmettere valori solidi e ha messo in mano il mestiere.

Oggi la bottega del 1949 è un ricordo e un esempio da seguire: i Fabbroni si sono spostati a Pieve al Toppo, dove hanno messo su uno showroom elegante e accogliente. Il testimone è passato di mano un’altra volta, finendo ai nipoti del fondatore. Leonardo e Sandra sono giovani (34 e 26 anni), vitali e determinati: somigliano ai loro predecessori, non hanno velleità rivoluzionarie e hanno sposato la linea della continuità. Crescere passo dopo passo, aggiornarsi, intuire le tendenze che cambiano, investire con giudizio, tenere a mente gli obiettivi ma anche il punto di partenza: settant’anni dopo la scintilla innescata da Giuseppe, c’è una fiamma che va alimentata e bisogna farlo con la testa sulle spalle.

“Io ho iniziato in azienda nel 2008 – ci ha raccontato Leonardo. Nel 2009 c’è stato un boom incredibile, poi un calo vertiginoso. Siamo legati all’edilizia e quindi sempre sull’altalena. Però da cinque anni abbiamo trovato stabilità: nel 2018 il nostro volume d’affari è cresciuto del dieci per cento, il fatturato è arrivato a un milione e 800mila euro”.

“Fabbroni serramenti e arredi” è specializzata nella realizzazione di finestre, porte e portoni. Il segreto sta nel mix tra artigianato e tecnologia, tant’è che uno dei princìpi cardine dell’azienda è la ricerca: nuovi prodotti, nuove soluzioni, nuovi strumenti di lavoro per mantenere il know-how, cioè l’insieme di conoscenze e di esperienze per svolgere al meglio la professione.

“Seguo il settore commerciale ma qua dentro ognuno di noi fa di tutto un po’, a seconda delle necessità: mi occupo di preventivi, vendita, produzione, montaggio, riscossione. Per questa intervista ho messo la camicia, di solito invece ho abbigliamento da lavoro: vado nei cantieri, devo stare comodo. Sono laureato in economia e gestione delle piccole e medie imprese, anche se la vera gavetta l’ho fatta in azienda. Ero nel reparto impiallacciatura, mi è servita moltissimo quell’esperienza e mi è pure piaciuta, nessun sacrificio”.

Stare al passo con i tempi non è semplice ma rappresenta la vera sfida da giocare ogni giorno. Giuseppe forse nemmeno ci pensava a un’eventualità del genere, Carlo e Roberto invece hanno sperimentato sulla loro pelle cosa significhi la necessità di adattarsi al mondo che cambia. Leonardo e Sandra con questo traguardo da tagliare ci convivono dal primo giorno, abituati a un mercato globale in cui resta a galla soltanto chi riesce ad aggiornare competenze e prospettive.

“La differenza più grande tra il lavoro mio, di mia cugina e quello dei nostri genitori riguarda le necessità del cliente. Prima l’azienda creava un prodotto standard che andava bene per tutti: quello offrivamo, quello voleva la gente. Adesso no, ogni prodotto dev’essere diverso dall’altro per accontentare le esigenze più varie. Finiture e dettagli sono fondamentali. Faccio un esempio pratico: trent’anni fa dalle macchine uscivano cento finestre dello stesso colore. Oggi di colori possiamo utilizzarne più di duemila, abbiamo acquistato un robot che può variare tonalità in trenta secondi. E’ completamente diversa anche l’organizzazione interna”.

“Fabbroni” dal 2014 si occupa pure di arredamento per la clientela privata. Un salto di qualità grosso così, che ha richiesto standard e ritmi di lavoro più elevati.

“E’ stata una mia idea, condivisa all’unanimità, che ci ha consentito di ampliare il ventaglio degli investimenti e il target di riferimento. Dall’abitazione della signora Maria ai negozi, fino alle banche: siamo in grado di assecondare le esigenze più disparate in virtù di un’esperienza consolidata e di un profondo attaccamento alla nostra attività. A me non ha imposto niente nessuno, sono qui per scelta: questo lavoro o ti piace o non lo fai. Mio padre e mio zio hanno sempre delegato, non sono mai stati gelosi delle loro mansioni e delle loro responsabilità. Questo ci ha consentito di crescere in maniera sana, equilibrata. Poi è chiaro che ho dovuto metterci del mio, ma lo spirito di sacrificio i Fabbroni lo hanno nel dna: stacco solo quando vado in vacanza con mia moglie Lucia e le mie figlie Bianca e Sofia. Il tempo libero lo dedico a due mie grandi passioni: la Giostra del Saracino e il fuoristrada. Sono un quartierista di Porta Santo Spirito e un iscritto di vecchia data del Tasso Club 4×4 Catenaia. Per il resto, sto sempre qua”. Tra gli ultimi lavori portati a termine, c’è l’allestimento della splendida boutique di Sugar in Corso Italia, ad Arezzo.

“Sai cosa mi piace di Beppe Angiolini? Il suo attaccamento alla città. Non è così frequente vedere un imprenditore di successo che decide di investire in provincia. Eppure io questa dimensione familiare la considero un valore aggiunto e se guardo la storia della nostra azienda, mi convinco che è proprio così. Lavoriamo da settant’anni con il territorio, abbiamo commesse anche altrove ma il novanta per cento dei nostri affari è legato ad Arezzo. Siamo sempre andati controcorrente e ne siamo soddisfatti”.

L’intervista si allarga a Carlo e Roberto, che siedono al tavolo per qualche minuto. “Umiltà e dedizione, la vita lavorativa in azienda possiamo sintetizzarla così. Quando abbiamo cominciato, affiancando nostro padre, c’erano buone basi e tanta strada da fare. Siamo soddisfatti, è stata la passione a condurci fino a qui e a darci forza nei momenti di difficoltà. La crisi l’abbiamo sentita addosso, ma la tentazione di mollare non ci ha sfiorato neppure per un istante”.

Tutto molto genuino, molto appagante. Il fatto è che la ruota non smette di girare e il 2020 è praticamente dietro l’angolo. Chi si ferma è perduto, Leonardo l’ha imparato subito: “L’obiettivo è mantenerci così, con attenzione costante alla tecnologia e allo sviluppo dei prodotti. La clientela è molto attenta, selettiva e se non hai le risorse per rinnovare, vai giù. Ma non ho timori, la storia dell’azienda è di per sé una garanzia”.

E Giuseppe, da qualche parte, andrà sicuramente fiero di questa storia tutta aretina di cui lui scrisse il primo capitolo.