Radici, ascesa e progetti futuri di un’impresa unica nel panorama del settore: l’Acetificio aretino. Una storia partita dal Mugello 70 anni fa e che è sbocciata ad Arezzo

Nel 2022, attraversando le corsie tra gli scaffali di un supermarket del Cairo, di San Paolo, Algeri, Tokyo o Los Angeles, è possibile imbattersi in un pregiato aceto italiano: ha per simbolo un giostratore sullo sfondo di piazza Grande. E un nome che fuga ogni dubbio: “L’Aretino”. Dietro quella bottiglia c’è un successo imprenditoriale che dura da quasi 70 anni. In questi sette decenni, mai è mancato il tributo alla città che ha visto emergere l’impresa, grazie a un brand inequivocabile che ha portato il nome di Arezzo in giro per il mondo. Incredibile è come questa storia – una grande storia aretina – abbia alle spalle una famiglia del Mugello. La quale, per le vicissitudini della vita, ha d’improvviso incontrato Arezzo: un amore in breve sbocciato e, negli anni, fiorito rigoglioso. Che sa di vera Toscana. E’ la storia dell’Acetificio Aretino.
Nel 1955 la guerra ha lasciato profonde ferite da rimarginare, nello spirito delle persone e nel mondo fuori. Il processo, nel secondo caso, è tanto più rapido laddove albergano personalità inclini all’imprenditoria: chi ha un po’ di capitale a disposizione è disposto a metterlo in gioco, per moltiplicarlo creando lavoro e solide aziende. Affortunato Verdi fa parte di una storica famiglia di Borgo San Lorenzo: di mestiere fa il vinaio. Ha tredici figli, 10 maschi e tre femmine, e uno spirito enorme, che gli permette di adottarne una 14esima. La vocazione imprenditoriale va ben oltre il semplice commercio di vini e quando fiuta l’affare, Affortunato ci si butta. La disponibilità di denaro non resta a marcire: compra terreni e proprietà. “Ognuno dei miei figli, un giorno, avrà la sua impresa”, va dicendo. Capita così che il vinaio mugellano, nelle sue peregrinazioni commerciali, si imbatta nel “cantinone” di via Romana, ad Arezzo. E gli viene un’idea: “Ecco l’azienda giusta da lasciare in eredità”. Non ci pensa troppo e lo acquista. Ma il destino, in questo caso, si dimostra proverbialmente cinico e baro: Affortunato muore all’improvviso pochi mesi dopo l’importante acquisizione a seguito di un incidente stradale, proprio in via Romana ad Arezzo.
Giuseppe Verdi ha 16 anni e un’omonimia clamorosa. E’ il maggiore dei figli di Affortunato, ma è poco più che un ragazzino, spinto dalle circostanze a crescere velocemente. “Fu costretto a presentarsi in tribunale ad Arezzo e dimostrare di avere la capacità per guidare un’azienda”, ricorda il fratello Giuliano, tutt’oggi all’interno dell’acetificio.

Nei supermarket di tutto il mondo c’è un pregiato aceto italiano il cui simbolo è un giostratore sullo sfondo di piazza grande

E’ il 1956 quando l’avventura dei Verdi in quel di Arezzo parte ufficialmente. “E fu molto complicata, specialmente all’inizio”, continua Giuliano Verdi. Ma babbo Affortunato aveva fatto un ultimo grande regalo agli eredi: un acetificatore tedesco, ultimo ritrovato tecnologico dell’epoca per il settore, costato quanto l’intera azienda. L’Acetificio Aretino può produrre ogni giorno, non più una volta a settimana come in precedenza, quando c’erano gli impianti a truciolo.
Quelli degli esordi sono tempi pionieristici e quasi eroici: “Si filtrava con i sacchi di tela e le bottiglie si lavavano a mano. Bisognava combattere per piazzare l’aceto: si vendeva ad Arezzo, nel resto della Toscana, a Roma. Ma c’era molta concorrenza. E noi eravamo pochi, c’erano giusto un ragioniere e un cantiniere: nel ’62 venne liquidato il socio dei Verdi e arrivammo io, Bruno e Vittorio, fratelli di Giuseppe, a lavorare ad Arezzo. Poi si unirono anche Alessandro e Vanni”.
La famiglia Verdi si insedia lì, in via Romana, vive sopra l’acetificio e si impegna per la sua espansione. Il primo importante colpo, sul fronte della distribuzione, era già arrivato: l’accordo con la rampante Esselunga di Giorgio Caprotti, la prima catena di supermercati in Italia. Il marchio L’Aretino prende possesso degli scaffali nazionali, prima di fare anche il salto oltreconfine. Il legame tra acetificio e città, d’altronde, è subito marcato dalla scelta di nome e simbolo: il brand che richiama la Giostra del Saracino è l’atto d’amore dei Verdi per la terra d’adozione.
Il tempo passa, l’azienda cresce. E investe, come babbo Affortunato avrebbe voluto: nel ‘65 arrivano i filtri a spirale d’acciaio. Se in un giorno, prima, si potevano ottenere 40 quintali di aceto, poi la produzione lievita fino a raggiungere i 30 quintali l’ora. Nel 1980 la famiglia si allarga: entra come responsabile della contabilità Gian Paolo Bonci, attuale amministratore delegato dell’azienda. Ha vent’anni e cresce assieme all’acetificio, conquistando da subito la fiducia della famiglia Verdi, diventandone parte. Gode della stima dei fratelli e accompagna la transizione della proprietà dalla seconda alla terza generazione. Una famiglia allargata quella Verdi, che ha saputo nel tempo resistere ai colpi bassi della sorte – scomparse tragiche e impreviste, come quella di Alessandro Verdi dello scorso agosto – sollevandosi sempre e rimanendo unita. Parte del forte collante è stato proprio l’acetificio. Oltre a Giuliano, unico dei figli di Affortunato rimasto, ci sono oggi i nipoti al timone dell’azienda: Elisabetta, Monica, Lisa, Gianluca. E ovviamente l’Ad Gian Paolo, familiare acquisito, che rivela: “Ho avuto sempre un rapporto di amicizia più che di lavoro con i Verdi. Ed essere una famiglia, credo sia stato il vero punto di forza di questa azienda”.

L’acetificio oggi è in località molin bianco, immerso nel verde e con un minimo impatto ambientale

Il solco tracciato da Affortunato è diventato più profondo col tempo: l’Acetificio investe continuamente e punta oggi su tecnologia e sostenibilità. La nuova “casa”, dagli anni 2000, è in località Molin Bianco: enorme, immersa nel verde e green. Così all’avanguardia che l’investimento per l’immobile, che sembra residenziale e non industriale, è stato di 3 milioni di euro, mentre 15 milioni – 5 volte tanto – sono stati investiti in macchinari. L’impatto ambientale è minimo, il maxi impianto fotovoltaico garantisce il 75% del fabbisogno energetico dell’impresa, l’acqua utilizzata dai pozzi sfrutta un potabilizzatore ed un impianto di depurazione di ultima generazione che rimette in circolo acqua pulita. “Siamo stati i primi a utilizzare bottiglie di plastica riciclata al 50%, senza aggravare il costo sul consumatore finale: Verdi in tutti i sensi”, aggiunge Bonci.
Oggi l’Acetificio è una realtà consolidata che dà lavoro a circa venti persone ed è ben nota oltre confine, con distributori efficaci nei vari angoli del pianeta, anche se il 90% del fatturato è concentrato in Italia. Le linee di prodotti sono moltiplicate, c’è l’inossidabile aceto “L’Aretino” bianco e rosso, ma anche il Chiantigiano, aceto di vino Chianti Docg premiato. E poi la linea “familiare” Casa Verdi, le specialità come gli aceti di arance rosse, quelli di mele della Valdichiana o le glasse. Senza dimenticare l’adesione al Consorzio dell’Aceto Balsamico di Modena Igp che permette all’azienda aretina di imbottigliare e commercializzare Aceto balsamico di Modena Igp. E ancora: prodotti biologici e una linea studiata per l’igiene della casa, apprezzata nelle cucine dei grandi ristoranti perché i prodotti sono privi di sostanze chimiche. Tutte le materie prime utilizzate sono inoltre italiane al 100%.
“Oggi lo sguardo della famiglia Verdi è più che mai rivolto al futuro – sottolinea Bonci – e teniamo a mente le parole di Giuseppe: L’aceto è la mia vita e le cose fatte con passione e amore ti ripagano sempre”.